Anton Zoran Mušič, il “pittore dei cavallini” che disegnava nel lager

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Dal lager nazista all’arte. Nascondeva l’inchiostro e pur di farlo durare lo allungava con l’acqua.

Alcune delle opere del pittore e incisore sloveno, Anton Zoran Mušič, il ‘pittore dei cavallini’, sono esposte al Moma di New York.

‘I cavalli che passano’ (1949), ‘I pesci’ (1951), ‘I cavallini’(1953), ‘Le scene dalmate’(dal 1951 al 1955) sono visitabili anche online.

A Firenze è possibile ammirare un’opera di Zoran Mušič presso la Galleria d’Arte la Fonderia di Niccolò Mannini, in via della Fonderia 42R. Sono poche le opere di Mušiĉ che si trovano all’estero, pochissime in Italia. Infatti per la maggior parte sono rimaste nel suo paese di origine.

Chi era il “pittore dei cavallini”?

Anton Zoran Mušič nacque il 12 febbraio 1909 in un villaggio di una frazione di quella che attualmente è Gorizia: Bukica (in sloveno) o Boccavizza (in italiano). Nelle biografie dedicate a  Mušič si trovano entrambe le denominazioni topografiche. Boccavizza è stata italiana dal 1920 al 1947. Nel 1909 il villaggio si trovava invece sotto il dominio dell’impero asburgico.

L’infanzia di Anton Zoran Mušič si svolse a Boccavizza, fino a quando nel 1915, a sei anni il piccolo Anton fu sfollato insieme a suo fratello e a sua madre ad Arnaĉe, vicino a Velenje. Nel 1919, anno in cui Gorizia fu annessa all’Italia, i Mušič si trasferirono in Carinzia, dove Zoran Mušič studiò e si diplomò a Maribor, la sua passione per l’arte si sviluppò negli anni del liceo. Terminati gli studi liceali, si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Zagabria.

Le opere cosiddette giovanili sono quelle che coprono il periodo dal 1931 al 1945, cioè quando l’artista viveva  ancora in Slovenia, fase fondamentale per la sua formazione.

Quelle databili all’incirca tra il 1931 e il 1933, sono disegni, litografie e xilografie ispirate alla vita cittadina.

Dal 1935 anno di esordio del giovane artista in una mostra collettiva a Lubiana e anno in cui terminò l’Accademia di Belle Arti, Zoran Mušič proseguì i suoi studi in giro per l’Europa, a partire dalle opere del Goya e del Greco a Madrid, percorso che gli aveva indicato il maestro dell’Accademia, il croato Ljubo Babi. In Spagna Zoran Mušič  si ferma per lungo tempo, fino allo scoppio della guerra civile spagnola, evento che costrinse l’artista a fare ritorno in patria. La produzione artistica fu prolifica e molte le collettive a cui partecipò.

Nel 1938 a Lubiana espose in una importante collettiva e a Belgrado in una doppia personale con Frano Simunovič, amico artista con cui aveva condiviso il soggiorno in Spagna. Dal 1943 l’artista visse tra Gorizia e Lubiana, ma la sua scelta era già fatta, nel 1944 si trasferì a Venezia. Qui conobbe Ida Cadorin, figlia del pittore Guido Cadorin,  che si era rifugiato a Venezia con la famiglia perché aveva nascosto in casa sua un capo della Resistenza e per questo era ricercato dalla Gestapo. Nello stesso anno, nel mese di giugno, Mušič inaugura una personale presso la Piccola Galleria di Venezia.

Poco dopo conosce Ivo Gregorc, uno sloveno diciassettenne che leggendo il nome sloveno dell’artista, decide di entrare alla nostra.

Gregorc sarà il motivo per cui Zoran Mušič finirà al campo di concentramento, un segno indelebile nella vita e nelle opere dell’artista, da questo momento in avanti. Ivo Gregorc faceva parte della Croce Rossa slovena, attiva nella resistenza contro i nazisti.  Zoran Mušič si traferì con l’amico Gregorc a San Provolo, insieme ad altri connazionali anti-nazisti.  Presto anche Zoran Mušič fu fermato e condotto a Trieste in piazza Oberdan.

Poi a Dachau, dove fu fatto prigioniero e nel campo di concentramento per sette mesi, durante i quali Zoran Mušič riuscì a eseguire i suoi disegni rischiando quotidianamente la vita.

Nascondeva l’inchiostro e pur di farlo durare lo allungava con l’acqua. I fogli erano piegati e nascosti sotto la camicia insieme alle penne, che sottraeva nei laboratori in cui lavorava. Riuscì a conservare e salvare 35 disegni su oltre duecento eseguiti.

Rientrato in Italia in gravi condizioni, dopo la liberazione di Dachau, ritrovò Guido Cadorin e sua figlia Ida. Tornò presto a dipingere e tutta la sua vita fu prolifica di produzioni e viaggi. Nel 1949 sposò Ida Barbarigo Cadorin.

Si trasferì a Parigi negli anni cinquanta dove studiò ‘l’astrazione lirica’ francese. Diverse le partecipazioni alla Biennale tra cui quelle del 1956 e del 1960. Dagli anni sessanta il lavoro di Mušič divenne più astratto e tridimensionale.

Le opere tra il 1970 e il 1976 raccolte nella serie ‘Noi non siamo gli ultimi’, furono ispirate all’inferno della prigionia nel campo di concentramento di Dachau ed ebbero enorme successo, acclamate dalla critica.

Numerose le esposizioni internazionali, le opere di Zoran Mušič sono esposte nei più importanti musei del mondo.

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