Yuja Wang all’Auditorium tra musica e sfarzo

Yuja Wang suona Ravel e Stravinskij all’Auditorium Parco della Musica tra gli applausi del pubblico e lo scintillio di una platea di rappresentanza.

Martedì 7 giugno all’Auditorium Parco della Musica si è svolto l’ultimo di tre appuntamenti con la giovane e talentuosa pianista pechinese Yuja Wang, insieme all’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, sotto la mirabile direzione di Lionel Bringuier.
Da molto tempo non si sentiva a Roma un’esecuzione della suite L’uccello di fuoco di Igor Stravinskij e anche Ravel con il Concerto per la mano sinistra in Re Maggiore è molto raro da poter ascoltare, come anche il suo Concerto in Sol; a questi poi, per l’appuntamento dell’Auditorium si è aggiunto Le Danze di Galánta di Zoltán Kodály. Ma andiamo per ordine. Voglio fare una premessa: non sono un’accademica, non sono una critica, non sono un’esperta; sono semplicemente un’amante della musica, tutta la musica; quindi parlerò per emozioni, sensazioni e non per tecnicismi.
Arrivo all’Auditorium temendo di aver fatto tardi, entro nell’androne della biglietteria centrale e già comincio a notare uno strano movimento; raggiungo a fatica la biglietteria e il guardaroba della Sala Santa Cecilia dove avrebbe avuto luogo il concerto e sempre di più mi rendo conto, mio malgrado, di essere terribilmente fuori luogo: ero circondata da abiti in chiffon, seta, perline, diamanti e non sentivo i miei passi, riuscivo solo a sentire il “tacchettio” delle scarpe delle signore sul marmo del corridoio.
Diamine! – penso – ero convinta che si fosse ormai un po’ svecchiato il concetto di andare ad un concerto, all’opera o a teatro.
Poi mi accorgo che in realtà nelle sale laterali era stata imbandita una tavola meravigliosa con fiori, segnaposti, cristalleria al completo; quindi cerco di scoprirne di più e capisco che si sarebbe svolta dopo il concerto la cena di fine stagione alla presenza dei pezzi grossi dell’Accademia Nazionale, dei direttori del Parco della Musica e del main sponsor Trenitalia. Ecco spiegato tutto. 
Entro in sala: tutto pieno, platea e gallerie. Purtroppo il disagio cresce. Tutte queste persone ingioiellate-pettinate-supertirate scambiano chiacchiere a voce alta, in mezzo ai corridoi di passaggio assieme a uomini vestiti anch’essi di tutto punto, con scarpe lucidissime, fiori all’occhiello, fazzoletti griffati e il capello sistemato. 
Applauso.
Entra l’Orchestra tutta, entra la prima violinista, il primo violinista, poi il Direttore e poi Lei: Yuja Wang in un abito meraviglioso e con dei tacchi veramente vertiginosi. 
Saluta, prende posto con un’umiltà e una frizzantezza veramente notevoli e si accomoda al piano. Ffinalmente si inizia!
Le Danze di Galanta è stato meraviglioso! Un ritmo e un andamento sempre presenti ed incalzanti. Tanto spazio agli archi, quanto ai fiati. Molto travolgente e coinvolgente, rimanda molto alle opere di Béla Bartók, con i suoi rallentando, con dilatazioni meravigliose che poi si risvegliano in momenti sostenutissimi.. come d’altronde la musica ungherese in generale. 
Poi è la volta di Ravel. 
Premessa necessaria: il concerto era presentato come Yuja Wang in RAVEL – Concerto per la mano sinistra in Re Maggiore | Concerto in Sol, quindi tutti ci aspettavamo un’esecuzione di Ravel non poco importante.
Prima della pausa La Wang ha eseguito il Concerto per la mano sinistra in Re Maggiore, brano di una difficoltà veramente elevata e con una storia molto commovente. Maurice Ravel compose questo concerto tra il 1929 e il 1931 per il suo grande amico nonché pianista Paul Wittgenstein che durante la prima guerra mondiale aveva perso il braccio destro. Fu lo stesso Wittgenstein ad eseguirlo per la prima volta.
Potete immaginare la difficoltà di essere morbidi, legati e calibrati utilizzando una mano sola, eppure non è stata la resa a lasciarmi interdetta. Sentivo una foga, una “rabbia”, una meccanicità che è strana nella Wang, conosciuta per la sua brillante freschezza nel reinterpretare un pezzo.
Dopo la pausa si riprende con il Concerto in Sol: fantastico come solitamente è Ravel, se chiudi gli occhi vedi tutti i colori, senti gli odori di un’esplosione di vita; l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è di una potenza esecutiva pazzesca, davvero straordinari. Anche qui lei sembrava però meccanica. 
Applaudita selvaggiamente dal pubblico torna con tre bis prima di salutare definitivamente la platea e le numerose gallerie stracolme e finalmente si vede la vera Wang! In queste tre piccole esecuzioni ha fatto magie, divertendosi e facendo divertire noi, lasciandoci a bocca aperta.
Nonostante la meraviglia e il visibilio della folla, tanti dietro di me applaudendo tra un bis e un altro, con un tono di voce neanche basso si lamentavano: “sù sù, veloce che c’ho fame”.
Yuja Wang saluta come al solito umilmente e con grande classe e lascia il palcoscenico.
Entrano molti altri dell’organico dell’Orchestra, si cambia il pianoforte per ciò che più attendevo:
L’uccello di fuoco di Igor Stravinskij.
I brividi. Dall’inizio alla fine.
L’Orchestra è fenomenale; la direzione altrettanto, l’opera non ne parliamo.
Ventidue minuti di paradiso. Non volava una mosca. Chi con gli occhi chiusi e con le facce sognanti. Alcuni, forse vecchi professori, col sorriso muovevano le mani morbidamente come a voler accompagnare quella meravigliosa melodia che ci veniva regalata. 
Non appena termina la suite, succede ciò che purtroppo era prevedibile.
Masse di uomini e donne ben vestiti, cortesi, eleganti all’apparenza, durante i saluti e i ringraziamenti dell’Orchestra e di Bringuier lasciano rumorosamente la platea, come una colonia di formiche in cerca di provviste, noncuranti di noi altri che, in piedi in ovazione, salutavamo gli artisti che ci avevano deliziato per due ore. E’ proprio vero che l’abito non fa il monaco!
Purtroppo devo fare un’altra considerazione. Sarà stata la particolarità della serata, comunque l’età media sarà stata di 50 anni.
Che peccato che noi giovani non rivolgiamo lo stesso interesse tanto alla musica classica quanto a quella elettronica/tecno/rock. Forse siccome si pensa sempre che il mondo della musica classica sia élitaria, chiusa e riservata ai pochi, alla fine si finisce per pensarlo anche della musica classica stessa. 
Invece non è così. 
La musica, tutta, è per tutti. 

Angelica Ferraù

COMMENTA QUESTA DOSE DI CULTURA

Lascia un commento!
Inserisci il tuo nome qui