Trenches è il disco di esordio degli Stolen Apple. La band toscana si è formata a Firenze nel 2008, in seguito allo scioglimento dei Nest.
Pur essendo al debutto discografico i membri degli Stolen Apple vantano quindi un’esperienza musicale piuttosto robusta.
Il titolo dell’album e il nome stesso del gruppo rivelano una ben precisa concezione del fare musica. Non solo per divertimento, ma per trattare ed esplorare in profondità la storia e la natura umana.
Stolen Apple, mela rubata, è infatti un omaggio a Ernst Lossa, ragazzo Jenisch ucciso nel 1944 dai nazisti nell’ambito del loro programma di sterminio degli individui non autosufficienti. Prima della sua iniezione letale Ernst visse per più di un anno in un istituto psichiatrico, un braccio della morte. Lì aiutava i pazienti più bisognosi ridotti alla fame rubando appunto per loro delle mele.
Trenches sono le trincee delle nostre menti, i recinti che delimitano la nostra confort zone e ci impediscono di vivere davvero liberi.
“La mente dell’uomo è in trincea, o le trincee sono nelle nostre menti?”
Probabilmente entrambe le cose. La musica interviene a salvarci da queste vite trincerate. È forse uno dei mezzi che ci permette di evadere e gli Stolen Apple non possono che contribuire alla “fuga”.
Il loro è un rock alternativo dal sapore anni ’90 che non manca di spunti punk, shoegaze, country, underground, blues… Gli Stolen Apple sono un po’ estranei alle tendenze contemporanee che sperimentano soprattutto nell’ambito dell’elettronica. Il suono è estremamente naturale, quasi da live e dà subito la sensazione della musica genuina di una volta, scevra di orpelli e modificazioni elettroniche.
Più che all’originalità, Trenches, punta forse a raggiungere ben precise atmosfere e a portare all’attualità orizzonti di riferimento di qualche decennio fa. Ascoltando le tracce dell’album si ha l’impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di familiare, di già conosciuto. Eppure è come se ci sfuggisse dov’è che esattamente abbiamo incontrato quel qualcosa. Ed è lì che risiede gran parte della bravura di questi ragazzi.
Tra ballate psicotiche, ritmi frenetici e rock incalzanti, sono i momenti di più ampio respiro quelli più apprezzabili.
La voce ci conduce ipnotica e carezzevole nella “Mystery town” della traccia numero sette, in cui l’atmosfera rock desertica è resa ancor più efficace dai glissati della slide-guitar.
La bella voce del frontman Luca Petrarchi è poi decisamente protagonista di “Something in my days”, una canzone coinvolgente che soprattutto nelle prime note rievoca forse un giovane David Bowie.
“Daydream” è un connubio tra musica e poesia. Il testo è infatti tratto dai versi onirici di Daniela Pagani, poetessa e prima cantante fiorentina ad aver partecipato allo Zecchino d’Oro nel 1970, scomparsa prematuramente a 22 anni. Le parole sono accompagnate dagli accordi delicati della chitarra e dall’armonica, suonata da Massimiliano Zatini.
Anche in questo caso, come per tutte le tracce dell’album, il testo è in inglese. La pronuncia, un po’ “artigianale”, rivela a tratti l’origine nostrana della band: da qui un’ipotesi che mi si è affacciata durante l’ascolto. Perché non provare a cantare anche in italiano? Non è sicuramente una strada semplice da percorrere, ma la musicalità naturale della lingua e la familiarità con essa potrebbe rivelarsi davvero un apporto prezioso. Chissà quali nuovi e interessanti orizzonti potrebbero aprirsi per gli Stolen Apple, oltre le trincee dell’inglese!
Francesca Papa