In Come una specie di sorriso, Neri Marcorè regala il fascino della musica e della poesia di Fabrizio De André. Attraverso le sue canzoni meno conosciute, conquista completamente il pubblico in sala, attraverso uno spettacolo che non è solo un tributo, ma un viaggio nel mondo di chi ha scritto e cantato le emozioni.
Nel 1998, il 13 e 14 febbraio, il Teatro Brancaccio di Roma ospitò uno degli ultimi concerti di Fabrizio De André, uno fra i più grandi cantautori di sempre. A distanza di venti anni esatti da quell’evento, Neri Marcorè, che lo scorso febbraio aveva portato già sul palco le canzoni di De André nel suo Quello che non ho, ha nuovamente reso omaggio all’artista genovese, morto l’11 gennaio 1999, con un nuovo, straordinario concerto.
In Come una specie di sorriso, questo il titolo del suo nuovo lavoro dedicato a Fabrizio, in scena al Brancaccio il 9 e 10 maggio scorso, il poliedrico Neri Marcorè, attore, (Nastro d’Argento come migliore attore per Il Cuore altrove di Pupi Avati) imitatore, showman, si esibisce nel ruolo più intimo, ma forse preferito di cantante.
Come una specie di sorriso, da un verso della celebre Il Pescatore, rappresenta uno straordinario omaggio, prima che vocale, musicale a Fabrizio De Andrè. Per questo sul palco, insieme a Neri, c’è il GnuQuartet, singolare quartetto composto da un violoncello (Stefano Cabrera), da una viola (Raffaele Rebaudengo), da un flauto (Francesca Rapetti) e un violino (Roberto Izzo).
Con loro anche Domenico Mariorenzi alle chitarre, imperdibili alcuni suoi virtuosismi, e Simone Talone alle percussioni. Completano la band le splendide voci di Flavia Barbacetto e Angelica Dettori, che regalano, fra l’altro, una versione da brividi di Bocca di Rosa.
La scelta dei brani proposti da Marcorè e dalla sua band è assolutamente particolare. Volendo privilegiare, nello sconfinato repertorio di De Andrè, quelle canzoni meno celebri, ma non per questo di minore impatto suggestivo.
Da Se ti tagliassero a pezzetti, la canzone che De André scrisse prendendo spunto dalla strage di Bologna del 2 agosto 1980, a Giugno 1973, passando per Creuza de Ma.
Un singolo, quest’ultimo, che, come tutto l’album, è interamente cantato in dialetto genovese e che il produttore David Byrne ha definito, sulle colonne della rivista musicale Rolling Stone, uno dieci dischi più importanti degli anni Ottanta.
Non solo, però, brani meno noti ma anche pezzi celebri come Don Raffaè e Hotel Supramonte, la canzone che De André compose dopo la drammatica vicenda del sequestro, vissuta accanto alla compagna Dori Ghezzi.
Due ore di straordinaria musica, il modo migliore per omaggiare chi metteva la ricerca musicale sempre al primo posto. Marcorè è bravissimo, trasformando questo tributo a Fabrizio in un affascinante viaggio, in cui parole e note, ma anche ricordi ed emozioni, si alternano armoniosamente in un entusiasmo generale.
Nota di merito per Stefano Cabrera che ha arrangiato alcuni pezzi di De André in un modo originale e accattivante e che sarebbero piaciuti al mitico Faber.
Bellissima, infine, la chiusura sulle note del Il Pescatore che coinvolge il pubblico in sala e fa sentire meno pesante l’assenza di un artista mai banale, cantore degli ultimi, narratore come pochi di storie.