Esce oggi Inner Shape, album di debutto di Bosna Danì
Una fusione di due generi che trovano in Inner Shape un piacevolissimo equilibrio di sonorità.
Ecco un album che parte con una premessa che potrebbe far alzare più di un sopracciglio: Inner Shape è un incontro tra musica elettronica e acustica. Sinceramente, sono aperta ai crossover più disparati perciò la cosa non mi ha stupito più di tanto, ma preferisco sempre tenere le orecchie aperte e non entusiasmarmi subito per vedere i miei sogni sgretolarsi al secondo minuto. Ma andiamo con ordine.
Inner Shape è l’album di debutto di Bosna Danì, nome d’arte di Daniele Rossi, ed esce oggi per l’etichetta toscana Toys For Kids Records. Dal nome si intuisce la voglia di portare in musica qualcosa che si ha dentro, un sentimentalismo personale che poi finisce per tradursi in una lunga narrazione di stati d’animo diversi.
Dopo vari ascolti, troviamo due linee guida principali:
– la linea cruda, aggressiva e più elettronica, di cui fanno parte le tracce B.O.T., Lovotica e Modern Slaves; sono le tracce in cui si fondono beat elettronici ed effetti digitali che creano estraniamento e visioni quasi spaziali;
– la linea riflessiva e delicata, più acustica, di cui fanno parte Ephemeral, Lucente, Malinconica, Red Moon, Relativity e Supernova; la chitarra solista ha quasi il ruolo da cantastorie che narra di un avvenimento passato, che sia di fronte a un falò o ai piedi del letto di un bambino. Gli effetti sono accompagnamenti che creano la cornice in cui viene narrata la storia.
E poi c’è Blue Gravity.
Ci tengo a isolarla dalle altre, un po’ perché non aderisce precisamente alle linee guida suddette, un po’ perché l’ho trovata bellissima e volevo darle lo spazio che si merita.
Lenta, quasi sacrale, lo strumento principale ricorda un sitar digitale e il suo intercedere calmo e in linea con gli equilibri karmici un canto religioso orientale rielaborato al computer. Questa è forse la traccia che più di tutte esprime meglio la via di mezzo, il crossover tra elettronico e acustico che all’inizio mi aveva lasciato più diffidente.
Entrambi i generi si fondono in una piacevolissima narrazione fatta di più voci, apparentemente dissonanti ma che invece trovano il loro modo di comunicare senza che l’una prevarichi l’altra e senza appesantimento da parte dell’ascoltatore.
Parliamo, poi, di voci:
solitamente, in un album quasi esclusivamente strumentale, le voci vengono erroneamente utilizzate come “tappabuchi”, per dare corpo a brani che non hanno senso di esistere, senza dire niente e contribuendo spiacevolmente a distrarre l’ascoltatore dalle melodie.
Fortunatamente, in Inner Shape quest’errore grossolano NON è stato commesso. Tutt’altro, vengono utilizzate seppur poco, solo in due brani, con criterio e con una funzione precisa.
Piacevoli i cori in Malinconica, quasi degli strumenti di supporto, perfettamente integrati nel tessuto armonico della composizione. La voce femminile di Red Moon è estremamente delicata e rende il brano una sognante chiacchierata al buio con la Luna.
Ho percepito quest’album come una personalissima traduzione musicale di quei pensieri che finiscono per accumularsi da qualche parte nel cervello e che non trovano mai sfogo, di quelle sfumature emotive che, attraverso l’unione di elementi elettronici e chitarre acustiche, trovano il loro modo di esistere e farsi sentire.
Da una parte il lato crudo e torbido, a volte disarmonico, così come le sensazioni più contorte e inestricabili. Dall’altra quello riflessivo e accogliente, dei ricordi malinconici e dei pensieri notturni.
È un album delicato ed espressivo ma allo stesso tempo in grado di colpire, da sentire a casa, con le cuffie, in totale ritiro personale, quando si prova a spostare la propria visuale al proprio interno e non si capisce bene a chi prestare ascolto, se alle voci che urlano o agli impercettibili sussurri di sottofondo.
Tuni Laurenti