Ci sono generi musicali che sembrano non passare mai. Specialmente quelli che attingono dalla cultura popolare, dal nostro sapere e dalle nostre radici.
Il folk è sicuramente tra questi e tra gli esponenti si sta per affacciare un volto “nuovo”. Francesco Pelosi infatti, ci presenta il suo disco d’esordio: Il rito della città. Un album autoprodotto che vede come produttore artistico la partecipazione di Rocco Marchi ((L’Orchestrina di Molto Agevole, hobocombo, Alessio Lega, Mariposa).
Un disco composto da undici tracce in cui il cantautore ci racconta, attraverso un’indagine sonora, storie di persone e personaggi. Come nel brano intitolato 1260, in cui un’atmosfera medievale ci racconta di Gherardo Segalello, predicatore che venne bruciato vivo dall’inquisizione. Oppure con O Morte, primo singolo del disco di cui è stato realizzato anche un video. Qui Francesco Pelosi invoca la dea del cambiamento in un’atmosfera al sapor di “blues”.
Il disco omaggia anche Christa Paffgen, in arte Nico.
Questo il titolo della canzone che racconta la sacerdotessa eroinomane del rock gotico. Il disco non disdegna riflessioni. Amarezza, rassegnazione e un tappeto di musicale malinconico. Ingredienti che, nel genere specifico, sono perfettamente amalgamati con testi colti. Molti brani sembra nascono dalle passioni del cantautore. Francesco Pelosi infatti definisce Santi quelli che sono sicuramente i personaggi di maggiore influenza e spicco nella sua crescita artistica. Un disco che a tratti sembra un vero e proprio ringraziamento a tutte quelle personalità che hanno indirizzato il cantautore di Parma al punto in cui si trova oggi. La canzone che apre l’album, sonno, sembra essere un preludio in tal senso. Si tratta infatti di una traduzione di un antico testo greco, già cantato da Demetrio Stratos (Area). Un rimando, una citazione forse. Emozionante l’arrangiamento vocale.
Francesco Pelosi da alla luce un album impegnato, un esordio ben studiato e di grande impatto emotivo per chi è amante del genere. Gli arrangiamenti sono eleganti, le atmosfere sono coerenti e l’album accompagna l’ascoltatore all’interno di tante storie. In alcune, obiettivamente, bisogna entrarci preparati. I personaggi sono ricercati e non banali. La conoscenza di Pelosi è minuziosa. Chiaro che per poter affrontare argomenti di un certo tipo, realizzando musica che nelle sue vene pulsanti ha le parole e i concetti, l’artista abbia dovuto scrivere di ciò che sapeva. Di cui era conscio.
Proprio questo uno dei punti che lo accomuna ad uno dei suoi Santi: Leonard Cohen.
L’artista, recentemente scomparso, cantava di non avere scelta, poiché nato con una “golden voice”. Più o meno allo stesso modo, nascere in una città di provincia, stretto fra due fabbriche e inondato di mitologie a basso prezzo (ma costosissime per l’anima), dall’osteria alla resistenza e dal cattolicesimo al mercato globale, non lascia scampo. Bisogna darsi da fare per raccogliere ciò che di vero esiste ancora in quel piccolo mondo nuovo che ci ha accolti.
Il disco è fresco di stampa. L’unico consiglio che possiamo dare è quello di dare una chance a questo lavoro ascoltandolo almeno una volta con attenzione. Certamente in una delle undici tracce riuscirete a trovare la vostra storia, la vostra melodia o semplicemente il vostro momento di “raccoglimento di pensieri” di fine giornata.
Emiliano Gambelli