Tra i tanti cantanti indie italiani della scena napoletana ne spicca uno in particolare.
Gnut, nome scelto per un progetto di Claudio Domestico, è un cantante e compositore napoletano che con la sua musica e la sua voce ha ottenuto un grande successo fuori dalla Campania.
Conosco anche un suo fan oltreoceano, in Brasile!
Se non lo conoscete e siete curiosi di sapere come sia, immaginate se Paolo Nutini fosse nato in Campania e non in Scozia. E immaginate se le sue canzoni fossero piene di quel sentimento misto di nostalgia e passione che solo i cantautori napoletani sanno raccontare.
Nonostante molte delle sue canzoni, tra cui quelle più famose, siano in dialetto, non mancano quelle in italiano. Tra queste c’è una delle sue canzoni che più mi piacciono, Quello che meriti, che purtroppo non ha eseguito nella tappa romana di questo breve tour.
Dopo averlo conosciuto nel 2018, sono finalmente riuscita a vederlo in concerto solo quest’anno, dopo ben due anni, ad Effimera, l’organizzazione di eventi estivi a Roma.
Si è esibito solo voce e chitarra, a volte accompagnato dal poeta napoletano Alessio Sollo.
Gnut ha musicato con Alessio Sollo molte sue poesie, e insieme hanno realizzato, nel 2018, l’album L’orso ‘nnammurato.
Il mix è così ben assortito e funziona talmente tanto bene da essere perfetto! La poesia di Sollo e la musica di Gnut sembrano due sposi perfetti l’uno per l’altro che si sono trovati. Un duo dalla creatività esplosiva.
Il concerto è durato troppo poco, secondo me, forse perché ha suonato poche canzoni rispetto alla quantità di canzoni belle che ha realizzato in tutta la sua carriera.
Non a caso è uno dei pochi artisti per cui faccio fatica a scegliere le canzoni che più mi piacciono. Selezionare alcuni brani per la playlist di CulturaMente non è stato affatto facile, ma sentirle dal vivo mi ha sicuramente aiutata. Più o meno.
Senza alcun dubbio amo Nu peccato, che è stata una delle prime canzoni che ho ascoltato, e anche qui il testo è una poesia di Alessio Sollo.
Sul palco di Effimera, Gnut si è esibito cantando alcune delle sue canzoni più famose e quelle che lui chiama scherzosamente “nevergreen”, perché sono tra quelle che hanno avuto meno successo.
Tra un pezzo e l’altro intrattiene benissimo il pubblico con una simpatia sincera, che non sembra costruita. Soprattutto, è bello sentire raccontare da lui stesso gli aneddoti delle sue canzoni, come sono nate o da chi sono ispirate, come Solo una carezza nata dalla storia della bisnonna. Oppure un viaggio immaginario nella Firenze di Dante Alighieri in cui Pulcinella ci avrebbe provato con Beatrice, per il brano ‘Nu bicchiere ‘e vino.
Nonostante siano circa dieci anni che Gnut ha raggiunto una certa notorietà, è rimasto un artista semplice. Un modo d’essere che va di pari passo alla sua musica: semplice e bella, perciò ricca.
Personalmente ritengo che sia uno dei cantautori contemporanei migliori dell’indie italiano degli ultimi anni.
Ha proprio questa capacità di far arrivare il sentimento delle sue canzoni attraverso la musica. È quasi il Van Gogh della musica italiana. Invece nelle sue collaborazioni con Sollo le sue musiche sono la tela e le parole delle poesie i colori.
Che molte sue canzoni siano in napoletano è un fattore aggiuntivo. È innegabile che nel dialetto napoletano si possano esprimere delle cose che in italiano non si potrebbero dire che con un lungo giro di parole, le quali non saprebbero comunque dirlo con la stessa efficacia.
La voce di Claudio è poi, secondo me, la ciliegina sulla torta. Anzi no, è la granella di nocciole unita alla copertura che rende quella torta speciale, di cui ti ricorderai con nostalgia per tutta la vita, con la speranza di poter tornare in quella pasticceria ancora.
Ecco, io non vedo già l’ora di poter riassaporare quella specialità nel prossimo live!
Nell’attesa di rivederlo, anche per chiedergli il perché del nome Gnut e il significato, mi godo le sue canzoni in questa playlist.
Ambra Martino
Crediti immagine in evidenza: Beatrice Ciuca.