L’uomo, dalla notte dei tempi, culla il sogno di congelare la morte, è questa, in estrema sintesi, l’essenza del nuovo romanzo di Don Delillo.
«Un giorno sarà possibile neutralizzare le circostanze che conducono alla fine. La mente e il corpo verranno risanati, riportati in vita.»
Nel frattempo, nell’attesa che tutto ciò avvenga i corpi verranno congelati, un riposo nel freddo, in attesa del futuro.
È questa la straordinaria opportunità che offre la Convergence, un’azienda sita in una blindatissima, segretissima sede nel deserto del Kazakhistan, a coloro che vogliono tentare di ingannare la morte attraverso un’operazione molto delicata, perfettamente sincronizzata, si cura e indolore. Si addormentano nel gelo sperando che la scienza, un domani, possa risvegliarli, trasformando l’iniziale raggiro, in un’assoluta, incrollabile certezza.
Ai servigi ipertecnologici della Convergence, si consegna speranzosa Artis Martineau, una giovane e bella donna, archeologa di professione, stanca di soffrire per dolorose malattie, drammaticamente invalidanti. Con l’amato marito, Ross Lockhart, un ricco magnate che ha fatto i soldi analizzando il profit impact dei disastri naturali e incallito bibliofilo, che da anni finanzia l’ambizioso progetto di criogenesi e che non disdegna anche lui di essere congelato, Artis si trasferisce nelle algide stanze dell’hospice kazako, una via di mezzo fra un hotel zen e un ipertecnologico obitorio, dove non si muore, ma si rimane sospesi nel limbo, a metà tra un cielo di vita futura e una terra di umanissima morte.
Artis affida a questa prigione foucaultiana, l’illusione di essere una mummia capace un giorno di risvegliarsi, al contrario di quei corpi dimenticati dalla vita e riscoperti dalla storia che da anni lei faticosamente studia. Accanto ad Artis e a Ross ci sta Jeffrey, il figlio di Ross che accompagna il padre e la matrigna, in questo penultimo viaggio, con tante domande, e un mare di sconsolata perplessità.
È questa la sconvolgente trama di Zero K, il romanzo di Don Delillo, edito in Italia da Einaudi, per la traduzione di Federica Aceto.
Lo scrittore americano, in questa sua ultima fatica letteraria, porta avanti, attraverso una cifra narrativa già sperimentata in altri libri quali Giocatori, Rumore bianco o il bellissimo Underwold, due registri narrativi apparentemente distanti fra loro.
Da una parte l’estremo e umanissimo tentativo di sconfiggere la morte, l’unica certezza che possa dare la vita nel momento in cui si viene alla luce, tema atavico che ha sollecitato scrittori, poeti e registi di ogni latitudine; dall’altra l’intimo rapporto fra un padre e un figlio, due entità che si conoscono appena, semplici abbozzi di esistenze parallele, galassie sideralmente distanti per scelte fatte, morale e rapporto con il denaro.
Nella freddezza di un luogo che promette di bloccare il gesto esiziale di Atropo, Jeffrey si trova davanti un uomo che l’anagrafe definisce suo padre ma che non sente come tale dal giorno in cui, mentre faceva i compiti di matematica, lasciò lui e sua madre con la naturalezza con cui si esce per comprare un pacchetto di sigarette.
Nei lunghi corridoi senza finestre Jeffrey ha tutto il tempo di riflettere, di scandagliare la decisione di Artis, una donna che pur non sostituendosi a sua madre ha imparato a stimare e ad amare e quella ancora più incomprensibile di suo padre, ma anche di ripercorrere le tappe della sua vita, le decisioni non prese, i silenzi assordanti nella piccola casa accanto a sua madre, i lavori costantemente rifiutati e una vita, la sua, che forse dovrebbe anch’essa essere congelata.
Un libro non semplice, che obbliga il lettore in certi momenti a una particolare concentrazione, ma che regala pagine di grande letteratura nel solco dei grandi romanzieri americani, di cui Delillo, che per scelta non possiede un cellulare e che scrive i suoi successi dal 1975 ininterrottamente con una vecchia Olympia, fa autorevolmente parte da anni, uno scrittore decisamente controcorrente, ma che sa raccontare l’umanità, in tutte le sue gradazioni più estreme, nel miglior modo possibile.
Maurizio Carvigno