Una parola in tedesco è il nuovo romanzo di Francesco Esposito, pubblicato dalla casa editrice Augh!. Un racconto breve e intenso sulla malattia e la propria identità.
È un titolo curioso quello del nuovo romanzo di Francesco Esposito. Una parola in tedesco. Quale sarà mai questa parola in tedesco? Purtroppo è una molto diffusa, conosciuta e temuta. Si tratta di Alzheimer. Una parola dal suono effettivamente duro e spaventoso che sembra riflettere la gravità della malattia che indica. In realtà, è solo il cognome dello psichiatra che l’ha identificata.
Cosa c’è di peggio del perdere i propri ricordi e la capacità di riconoscere le persone che sono parte della nostra vita?
Noi siamo le nostre esperienze. Che cosa diventiamo quando esse ci appaiono confuse o scompaiono del tutto dalla nostra memoria? Esposito prova a raccontarcelo attraverso la voce di Ettore, un uomo qualunque di cinquantasei anni a cui, improvvisamente, viene diagnosticato il morbo di Alzheimer. Per salvare la propria identità, Ettore farà ricorso a un diario su cui trascrivere i propri ricordi. La scrittura, infatti, ha questo di salvifico e di meraviglioso: permette di esternare un pensiero, un’emozione, un ricordo affidandolo a un supporto materiale esterno al proprio corpo.
Ma quando si scrive, si ha anche la possibilità di mettere ordine. Si comprendono momenti del passato in maniera più chiara, poiché non si è più coinvolti emotivamente. È possibile cambiare il proprio punto di vista, abbracciando anche i pensieri o le percezioni di altre persone. Si vedono i cambiamenti a cui la vita sottopone ciascuno di noi. E quando si è colpiti da una malattia così grave, è legittimo tornare al proprio passato. È legittimo cercare di capire che cosa è stata la propria vita.
Ma è possibile mettere ordine quando hai l’Alzheimer?
Quando leggiamo, ci affidiamo completamente alla voce narrante. Ci aspettiamo di sentirci raccontare una storia che sia vera e reale. Può lasciarci in sospeso in alcuni punti, per assicurarsi che continueremo a girare pagina. Può non conoscere tutti gli aspetti della vicenda, ma siamo comunque inclini a credergli. Ma se questo narratore fosse proprio una persona che ha difficoltà a distinguere la verità dalla menzogna?
La grande trovata del romanzo di Esposito è proprio questa: sovvertire le aspettative della scrittura e della lettura. Un tentativo di mettere in ordine e di ricordare la propria esistenza si trasforma in una lotta contro i mulini a vento. E il lettore si lascia ingannare dalla storia, salvo poi trovarsi confuso, ingarbugliato, disorientato. Una sensazione che possiamo immaginare essere comune per chi non riconosce più i confini della propria identità.
Una parola in tedesco è un romanzo breve. Molto.
In poche pagine si concentra un’esperienza di vita non straordinaria ma comune, come tante altre se ne potrebbero immaginare. La lettura scorre veloce grazie a uno stile chiaro, semplice, ma incisivo ed espressivo. Il racconto di Esposito apre un piccolo scorcio su ciò che significa perdere se stessi, facendo in modo che il lettore si perda nelle parole, nonostante la loro chiarezza e specificità.
Un’esperienza di lettura interessante che non lascia sicuramente indifferenti.
Federica Crisci