Edito Perrone e pubblicato a febbraio 2022, il libro scritto dalla giovanissima Matilde Falasca (classe 2004) “Puoi chiamarmi Emma” vede come protagonista Margherita. Non vi aspettavate questo nome, vero? La storia si svolge a Roma. Al centro di tutto, l’adolescenza. Leggendo questo libro possiamo vedere il mondo con gli occhi di Margherita, scoprendo che poi, alla fine di tutto, in ognuno di noi rimane sempre quella spontaneità e freschezza proprie dell’adolescenza. Un periodo che per molti di noi è stato irrequieto, turbolento, ma, nonostante questo, ci ha anche dato la possibilità di sperimentare la vita. Ecco, se dovessi riassumere quello che mi ha lasciato questo libro, lo farei utilizzando questa parola: “sperimentazione“. Perché, come viene scritto alla fine sulla quarta di copertina del libro “La verità è che siamo fatti a strati e il processo di conoscenza non è altro che uno scartarsi, strato dopo strato, fin dove si riesce“.
La trama
Margherita è all’ultimo anno di Liceo a Roma e si trova, come la maggior parte dei suoi coetanei, a dover fronteggiare gli esami di maturità. Quanti di noi si ricordano quel famigerato periodo? Venditti ha saputo benissimo rappresentare quei momenti con la sua canzone “Notte prima degli esami“. Anche il libro di Matilde Falasca ben descrive e rappresenta quei momenti fatti di ansia, pensieri, dubbi, incertezze, ma anche di allegria, spensieratezza, voglia di vivere e di mettersi anche in discussione.
Margherita non sa bene cosa vuol fare dopo la scuola: il medico o l’attrice? Entrambe le cose? Lei stessa alla fine del libro dice “Ci proverò…So che è improbabile, ma sento di non poter rinunciare a nessuna delle due strade. Sicuramente arriverà un giorno in cui mi troverò a un bivio e dovrò prendere una direzione. La prenderò con tranquillità. Ma solo perché consapevole di aver provato a fare entrambe le cose.”
Nel corso della trama, la protagonista si trova a dialogare con un misterioso compagno di vita, un curioso “non personaggio”, il non so chi. Il lettore non sa bene chi sia, può dare diverse interpretazioni, tutte plausibili sicuramente: la sua coscienza? il suo alter ego? Spesso Margherita entra in conflitto con il non so chi. Tuttavia, lo ascolta sempre.
All’inizio della storia, Margherita vive la sua quotidianità e, seduta sul divano guarda casualmente un film che le muove qualcosa dentro, che le apre un varco all’interno di sé. Inizia a vivere una forma di ansia e, solo quando entra nell’auletta numero 6 della sua scuola, scoprirà un mondo nuovo che in verità c’è sempre stato. Quella stanza è la stanza del suo psicologo. Inizia proprio in quello spazio ristretto uno scambio epistolare con un ragazzo dell’età di Margherita. Lei non conosce la sua identità, ma sembra che lo conosca da una vita. Inizia da quel momento un fitto scambio di lettere, in cui Margherita, da subito, decide di diventare “Emma” (“…E qui mi fermo: non voglio dirgli il mio vero nome. […]. Voglio un nome diverso, un nome di cui io stessa mi vestirei, per essere trasformata nella ragazza delle lettere. […]. Scorro fra i titoli, uno risalta: Emma. Emma come la protagonista del romanzo della grande Jane Austen, che ho finito da poco, Emma l’ironica, l’altera, l’innamorata, la giusta.”) Lei diventa Emma, lui, Teo.
L’introspezione dominante
Tutta la storia viene narrata da Margherita, con un linguaggio emotivo fortemente introspettivo che domina ogni cosa. La realtà è quasi sempre descritta prima di tutto attraverso i suoi occhi, facendo immergere il lettore nell’intimità della storia. Non possiamo non sentirci vicini a Margherita. “Puoi chiamarmi Emma” è un viaggio introspettivo, in cui, al termine, si apre la transizione: dall’adolescenza all’età adulta. Quel processo di cambiamento che contraddistingue tutti noi e che inevitabilmente porta alla conoscenza di sé: con tutti i pro e tutti i contro. Il racconto ci viene consegnato da Matilde Falasca come una vera e propria lettera. Un dono particolare di generosità in cui traspare l’esigenza di scrivere della protagonista, come lavoro personale quasi catartico. Margherita dimostra una grande proprietà di linguaggio. Non le bastano, infatti, le parole in italiano, ma cerca ossessivamente le parole straniere per descrivere determinate situazioni, specifici stati d’animo (fernweh – “nostalgia della lontananza”, mangala – “buon auspicio”, toska – non traducibile in un’unica parola, etc.).
Viene disegnato un racconto di un’adolescenza diversa dall’immaginario collettivo comune: non è violenta, non è volgare. Si parla di sentimenti autentici, puri e di scelte esistenziali. Voglio condividere questa citazione che mi ha particolarmente colpito (ma sono davvero tante quelle che meriterebbero di essere lette e condivise!): “Voglio sapere com’è all’interno dell’amore, sono al cancello e vedo la bellezza oltre“.
Consiglio vivamente di leggere questo libro perché non solo scorre veloce ed in modo piacevole, ma anche perché è un regalo per noi stessi: commuove e ci ritroviamo, trovando un po’ di ciascuno di noi, nel vissuto di Margherita.
Maria Serena Cospito