Il romanzo forse più intimo della Mantel. Un libro per comprendere l’universo arabo e il rapporto con la donna attraverso un racconto che entusiasma.
«Mi dia retta, è un posto strano Gedda. Nessuno sa quello che succede davvero.
Lei lavora?
Sì, sono una cartografa.
Peccato, qui è superflua, non hanno cartine.»
Un giudizio tagliente, come la più affilata delle lame. Una sentenza senza possibilità d’appello, espressa da un passeggero, che turba, e non poco, Frances Shore, cartografa di professione, da sempre con la valigia in mano, da sempre desiderosa di mettersi alla prova.
Ma qualcosa in quella nuova destinazione la lascia perplessa. Frances immagina che quel posto, Gedda in Arabia Saudita, come vaticinato dallo steward poco prima di versarle il brandy, possa essere diverso dagli altri, dall’Africa, ad esempio, dove ha abitato per diversi mesi e in luoghi differenti, pur di stare accanto a suo marito, e al suo lavoro.
Ma dire no a suo marito, Andrew Shore, di professione ingegnere edile, le è sembrato ingiusto, specialmente quando ha visto l’entusiasmo con cui gli descriveva i vantaggi di quella nuova offerta, le potenzialità future che quel soggiorno a Gedda avrebbe potuto determinare. Negare quella possibilità a suo marito le è apparso ingiusto, sbagliato, egoistico. La vita di coppia, d’altra parte, è fatta anche di pesanti rinunce, di azzardate scommesse, di inevitabili compromessi.
Allora Frances ha preso di nuovo il passaporto, ha fatto un’altra volta i bagagli, lasciandosi dietro tutto, atterrita però da quella sensazione, leggera e pesante al tempo stesso, di risultare in quel luogo insolitamente superflua.
Ma la speranza che anche questa esperienza possa chiudersi felicemente, tramonta quasi subito all’arrivo di Frances a Gedda. Le cose, infatti, non sembrano andare per il verso immaginato. Il marito quasi sempre assente, una cultura totalmente differente da quella ipotizzata che emargina una donna invece che accoglierla, facendola sentire un peso più che un’opportunità, la terribile solitudine di giornate infinite e i perenni silenzi, rotti solo da misteriosi rumori provenienti dall’appartamento soprastante che, in teoria, dovrebbe essere disabitato, trasformano la permanenza di Frances, un vero e proprio incubo.
Pubblicato nel 1988 in Gran Bretagna Otto mesi a Ghazzah Street è un avvincente romanzo giallo scritto da Hilary Mantel, (prolifica scrittrice inglese, nota, fra l’altro, per La storia segreta della Rivoluzione, imponente opera in tre volumi sulla Rivoluzione francese edita in Italia da Fazi, nonché Wolf Hall (2011) e Anna Bolena, una questione di famiglia (2013), i primi due libri della fortunata trilogia sulla dinastia Tudor, entrambi insigniti del Man Booker Prize), che ora finalmente, a distanza di diversi anni, esce per la prima volta in Italia grazie a Fazi, per la collana Le Strade.
Ambientato in Arabia Saudita negli anni Ottanta, Otto mesi a Ghazzah Street narra, tenendo incollato il lettore, il dipanarsi di ripetuti misteri in cui lentamente ma inevitabilmente si trova impigliata Frances nelle sue infinite e solitarie giornate.
Un intreccio che si fa via via più intenso, stringente, proiettando l’ignaro lettore in «un incubo orwelliano sbalorditivo» come recensito dalla Literary Review.
Otto mesi a Ghazzah Street non è soltanto un giallo, ma anche il resoconto preciso e attuale dello scontro fra due civiltà così distanti fra loro. Da una parte il liberismo occidentale, pur con le sue inevitabili contraddizioni, dall’altra la rigidità araba, ancorata a secolari protocolli sociali, mutuati da quelli religiosi, che non integrano ma separano nettamente, innervati da un profondo e odioso maschilismo. In mezzo una donna libera che si scontra quotidianamente con la difficoltà di vivere e adattarsi in uno strano luogo, dove tutto scorre piano, dove niente sembra sconvolgere la quieta serenità di una società cristallizzata che, però, cela pericolose e carsiche tensioni.
Il libro, forse, più autobiografico della Mantel, che come la protagonista Frances, ha spesso viaggiato, mettendo ogni volta in discussione tutto, chiudendo valigie, arredando case nuove e disabitate, allacciando legami con persone ogni volta totalmente diverse.
Otto mesi a Ghazzah Street colpisce principalmente per la sua attualità, perché quegli inaccettabili contrasti della società saudita, opulenta ma al tempo stesso retrograda, specie verso una donna, sono, a distanza di oltre trent’anni dai fatti narrati dalla Mantel, ancora pressoché invariati, anche se nell’apparente immobilismo saudita qualcosa si comincia fortunatamente a muovere.
Maurizio Carvigno