Luigi De Pascalis, raffinato scrittore abruzzese ma romano d’adozione, conferma la sua lunga collaborazione con le edizioni La Lepre.
Il suo ultimo romanzo Notturno bizantino.La lunga fine di un impero, candidato al Premio Strega 2016, segue di un anno l’ultima pubblicazione per la stessa casa editrice che si contraddistingue per le sue scelte editoriali di grande spessore letterario. Dal tragico epilogo di un impero, narrato nei modi del grande storico, si sviluppa un disegno concentrico di riflessioni, principi filosofici, estetici, di vita assimilabili all’opera portante di una corrente mistica, tanto il carattere universale e al contempo iniziatico del romanzo è sottilmente palesato. La considerazione inizialmente più evidente è legata al lavoro certosino dell’autore nel reperire fonti testimonianze utili alla ricostruzione minuziosa di quei tragici ricorsi storici, cari persino allo scenario della situazione geopolitica odierna. Ma nell’eterno scontro di culture, in quei frammenti di Pangea che affermando la loro identità vengono irrigati da lacrime e sangue, accade di ritrovare la verità filosofica di un essere umano ancora in preda agli esperimenti alchemici tesi a raggiungere l’armonia universale, lontana dall’Essere ma centrata ancora sull’Avere.
Il costrutto storico fornisce in questo caso il pretesto intellettuale di affermare attraverso una letteratura aulica le Verità celate nell’espressione ferina dei sentimenti ridotti all’osso, spogliati dal conformismo della quiete e della pace. Le chiavi di lettura a questo punto sono molte, a diversi livelli, e si propongono al lettore in base al suo stadio di coscienza: possono sedimentarsi a livello materialista-sociologico o favorire l’illuminazione finale in un contesto di pensiero antroposofico moderno. De Pascalis ha una grande abilità nel muoversi dialetticamente in questo dualismo e usa un virtuosismo letterario di classe per rispondere ai quesiti più immanenti della storicità come potrebbe essere la composizione di una polvere da sparo e adottando invece un atteggiamento ermetico, cabalista, aristocratico quando a parlare è la dimensione spirituale dei sentimenti e dell’agire umano. Lucas Pascali, protagonista del romanzo, attraversa l’inferno di una esistenza tormentata tra le rovine del grande impero bizantino, compiendo un viaggio iniziatico di una durezza incredibile e attraversando un mondo smantellato dalla logica, dove la pietas si compie nel ricordo doloroso e impossibile di ciò che non può essere vissuto, a causa dell’economia della Storia e della contingenza umana.
Di contro, se la Rivelazione è figlia della conoscenza deve essere presente nel corpo incorruttibile dell’Idea; c’è nel sincretismo pagano della Fratria e nel suo carattere neoplatonico la risposta all’agonia dei corpi mortali, una dichiarazione di intenti chiara del percorso umano e spirituale di Lucas. Egli attraversa la carnalità con l’atteggiamento del mistico e non del corruttore percorre la sua strada abbracciando l’ascetismo melanconico del non-sentimento di Teodora, figura chiave delle narrazione. Una donna che sublima l’amore nella ricerca della vera Scienza e ripercorre nell’anima fatta a pezzi il supplizio della stessa Ipazia, martirizzandosi però per sua stessa mano nell’atto disperato di evitare la schiavitù morale al figlio Ieroteo. E’ con il racconto delirante degli ultimi attimi della sua vita senziente che la figura ultraterrena di questa donna, ormai spettro della sua coscienza, regala alla narrazione il culmine del climax e la nuda sacralità del miracolo letterario dopo la meticolosa descrizione degli avvenimenti storici.
Ci si trova di fronte a un’opera di grandi proporzioni che nei momenti salienti sa ridurre al principio primo e generatore i grandi temi dell’esistenza umana.
Antonella Rizzo