Un piccolo libro, due racconti, uno stile innovativo, una scrittrice di talento che evoca immagini molto intime che, alla fine della lettura, rimangono.
Recensire un libro di racconti, piuttosto che un romanzo, è onestamente un’operazione più difficile, più complessa ma anche più soddisfacente. I racconti, infatti, sono, specie in Italia, un genere che appare agli occhi del lettore sulle prime ostico, per questo poco praticato dalle case editrici, di norma restie a sperimentare, a osare.
E invece il racconto è l’essenza della letteratura: i più grandi scrittori di sempre si sono cimentati nell’arte unica del racconto, dando vite a pagine indimenticabili. Da Dostoevskij a Bulgakov, da Yourcenar a Gogol, da Carver a Joyce, passando per Salinger, Yates, Borges, Bukowski, King e infiniti altri, senza dimenticare gli italiani Boccaccio, Pirandello, Bassani, Verga, Morante, Pavese, Calvino, Rodari, e tanti ancora.
Un racconto non è un genere letterario di serie b, non è un romanzo breve ma è un mondo a sé stante, in cui la brevitas, a cui soggiace il racconto, non è una diminutio, ma una straordinaria occasione per esaltare la scrittura, per regalare pagine indimenticabili. La limitatezza delle parole, i pochi personaggi, la rapidità della descrizione spingono lo scrittore, svincolato dagli obblighi di dover scrivere il più possibile, a quella che Italo Calvino, in Lezioni Americane, definiva l’esattezza, cioè la definizione dell’opera, attraverso “l’evocazione d’immagini visuali, nitide, incisive e memorabili”.
La casa editrice L’Erudita ha deciso di osare, dando alle stampe il libro di Sofia Bolognini, Nasce, cresce deserti, la raccolta di due racconti “faticosi” come li definisce l’autrice stessa, La ragazza del girasole e Il Mostro che raccontava storie; due storie intimamente legate, la prima naturalmente propedeutica alla seconda, a metà strada fra la fiaba antica, con tanto di animali parlanti, calde e intime atmosfere care ai grandi favolisti e il racconto sperimentale, caratterizzato da percorsi decisamente arditi, ma senza dubbio affascinanti, e dalla trattazione di temi non certo lievi.
Ma ciò che colpisce di più nella lettura di questo piccolo libro, al netto delle trame, è senza dubbio la lingua usata dall’autrice, la vera cifra di tutta l’opera, evincibile già dalla scelta stessa del titolo.
Una lingua efficace, che colpisce per l’innovazione, per il suo tratto stilistico e talentuoso perché ciò che emerge, leggendo Nasce, cresce deserti, è certamente la capacità di Sofia Bolognini di proiettare il lettore nel suo mondo, in quel suo scrigno segreto che si schiude solo a chi riesce davvero a trovare l’ingranaggio giusto per aprirlo.
Il consiglio è di leggere questo piccolo libro, di cui ho volutamente evitato di rivelare le due storie perché vanno lentamente apprezzate, dopo aver fatto vuoto intorno a noi, lasciando che i personaggi, le vivide immagini e la voce sommessa e graffiata di questi due racconti, possano, senza timore, accostarsi a noi, facendoci da guida in quel magico viaggio che è la lettura, un viaggio che possiamo ripetere sempre ogni qual volta decidiamo di aprire un libro, magari proprio Nasce, cresce deserti.
Maurizio Carvigno