Con Mancanza, la sua silloge per le edizioni Augh, Ilaria Palomba compie felicemente il suo ingresso nella parola poetica con la classe che la contraddistingue. Una raccolta matura, malgrado la giovane età dell’autrice.
Ogni talento letterario ha assaporato il passo grave della mancanza, fino ad attraversare gli anni di piombo della crescita umana e artistica. Ilaria Palomba traghetta sé stessa dall’esperienza del romanzo a quella della poesia, compiendo un percorso inverso da quello di molti scrittori.
Ci si imbatte in un personaggio squisitamente autentico, ingenuo, dalla carnalità inconsapevole e feroce che non prova risentimento.
Questa caratteristica è rara nel panorama odierno che critica la complessità pur non conoscendo altro modo di compiere l’esperienza. Ilaria Palomba è una degna erede dei travagli del Novecento; una scrittrice di colta provenienza che mette a disposizione del suo talento una interiorità difficile da contenere, in una condizione di eterna borderline.
Lo fa con una saggezza composta, paziente, abituata com’è a gestire un mondo enorme rispetto alla sua fisicità, con i mezzi intellettuali che coltiva come unica risorsa al mal de vivre.
La Palomba guida la parola fino al suo compimento della sua funzione, non esagera con i virtuosismi inutili, artificiosi; non si spinge verso sterili provocazioni, distruzioni di massa, cannibalismo sessuale.
La sua mancanza è la fame atavica dopo ogni pasto, quel margine tra il gesto e la felicità che non potrà essere colmato da niente e da nessuno.
Lo spleen, il retrogusto del costante abbandono non chiede la risoluzione del conflitto perché teme il limbo più dell’inverno stesso.
La poetica di Ilaria Palomba è tagliata perfettamente a misura del suo senso di realtà e la percezione che se ne ricava è di un’opera corposa, di un suono scuro ma armonico, accordato a mestiere. Antonio Veneziani è incisivo nella sua prefazione e sancisce la sorellanza della Palomba con le voci inquiete della Poesia mondiale come Anne Sexton, la Pozzi, la Guidacci e le altre, tutte quelle che hanno rotto il patto con il conformismo di facciata, che sono uscite dal nido caldo della propria esistenza per sperimentare i propri confini.
Lo fa, come ho già detto, senza rivendicazioni o pretese di risarcimento ma con una sorta di delicatezza e di garbo che conduce il lettore di poesia nella zona franca dove risiede l’oscura malinconia della Mancanza. Il suo è l’occhio di Redon che sovrasta l’esperienza umana, solcando cieli in grande solitudine.
C’è chi potrà sollevare obiezioni sulla discontinuità tra lo stile “urbano” dei romanzi e la dimensione aulica delle poesie; credo profondamente nel pensiero articolato dell’autrice e nel suo desiderio di attribuire a livelli diversi di percezione peculiarità specifiche di rappresentazione.
Non ci è dato di sapere se questo intermezzo poetico rappresenti per la Palomba un’incursione felice nella sua carriera letteraria o l’inizio di una nuova consapevolezza; ci auguriamo di leggerla ancora in questa veste che emoziona e convince.
Ilaria Palomba ha pubblicato: I buchi neri divorano le stelle (Arduino Sacco Editore 2011) con il quale ha vinto il secondo premio nella XIV edizione del Premio Nazionale Osservatorio; Fatti male (Gaffi Editore, 2012) tradotto in tedesco dalla casa editrice Aufbau-verlag con il titolo Tu dir weh (marzo 2013); Violentati (ErosCultura, 2013); Il corsetto (Lite Editions, 2013); Io sono un’opera d’arte (Edizioni Dal Sud, 2014); Homo homini virus (Meridiano Zero, 2015); Streghe postmoderne (AlterEgo, 2016); Una volta l’estate (Meridiano Zero, 2016); Disturbi di luminosità (Gaffi, 2018).
Antonella Rizzo