Paura del Diavolo, delle malattie, della violenza, della guerra, della morte, del futuro. Alla storia della paura è dedicato il bel saggio di Jean Delumeau, La paura in Occidente. Storia della paura nell’età moderna, in cui lo storico francese declina la paura in tutte le sue forme, ricorrendo a una incredibile messe di fonti.
Un anonimo militare una volta disse: «non c’è nessun uomo al di sopra della paura e che possa sfuggirvi.»
La paura è una di quelle certezze che accompagna da sempre l’uomo in ogni epoca, a ogni latitudine.
Pubblicato per la prima volta nel 1979, questo libro viene ora rieditato da “il Saggiatore” nella collana La Cultura, per la traduzione di Paolo Traniello.
Un saggio corposo che ripercorre la storia della paura in età moderna, declinandola in ogni forma possibile.
Jean Delumeau, è uno studioso da sempre attento alla storia sociale e religiosa, autore, fra l’altro, di una bellissima Storia del paradiso.
Dopo aver chiarito nell’introduzione, ricca di spunti letterari e artistici, cifra consueta per lo scrittore francese, la sua personale ricerca della paura, la sviscera in ogni forma nei successivi capitoli.
Il saggio si divide essenzialmente in due parti attraverso le quali la paura viene analizzata dal punto di vista delle masse e da quello delle classi dirigenti.
Una schematizzazione inconsueta per l’età moderna, apparentemente più consona per un’analisi contemporanea, ma che convince e molto.
Le categorie sociali, che da Marx in poi apparterranno alla storia e alla sociologia, possono e anzi debbono essere anche estese al passato, e particolarmente all’età moderna, in cui le masse e le classi alte erano un’assoluta realtà.
Un saggio accattivante, ricco di spunti che svariano dalla letteratura alla pittura passando per le leggende popolari.
Un libro coinvolgente che può essere anche letto a sezioni senza che si perda la compiutezza dello stesso.
Scopriremo come in passato l’uomo abbia temuto paure reali come la peste, o del tutto inventate, come quella del diavolo o dell’altro. .
La peste, invece, come detto, fu una paura reale, autentica, tangibile.
Un mostro che, specie nel periodo compreso fra il 1348 e il 1720, seminò morte, disperazione, solitudine.
I malati, i cui segni evidenti della malattia erano tangibili, venivano «abbandonati ne’ lor bisogni per la paura che aveano i sani» come racconta Boccaccio nel Decamerone.
Un «morbo cronico», come si legge nel saggio di Delumeau, «implacabilmente ricorrente la peste, per via delle sue ripetute comparse, non poteva fare a meno di provocare nelle popolazioni uno stato di ansia e di paura.»
Una paura concreta, che terrorizzava ancor di più perché se ne ignorava la causa, l’origine.
E allora l’ingegno e la fantasia umana, proponevano spiegazioni disparate che, se possibile, terrorizzavano ancor di più gli esseri umani.
La peste era una sorta di spietata punizione, “la giusta di Dio” come la chiamava ancora Boccaccio, che colpiva gli uomini con la sua mortifera mannaia per espiare atavici e ripetuti peccati.
Ma c’erano anche spiegazioni meno escatologiche, più “scientifiche” anche se non del tutto veritiere.
La peste sarebbe derivata «da esalazioni maligne prodotte dai cadaveri non sepolti, dai depositi d’immondizia, o persino emanate dalle profondità della terra.»
Spiegazioni a parte la peste devastò l’Europa specie nel corso del XIV secolo.
Fra il 1343 e il 1357 «Albi e Castres», come scrive Delumeau «persero meta della loro popolazione e il contagio avrebbe portato via nel 1350 – calcoli, a dire il vero, discutibili – il 50% degli abitanti di Magdeburgo, dal 50 al 66% di quelli di Amburgo, il 70% di quelli di Brema.»
Non solo la peste però.
Un’altra paura ricorrente, che atterriva forse più della stessa peste e altre “mortali malattie”, era l’angoscia connessa a cosa ci sarebbe stato dopo la morte.
Per tutto il medioevo la Chiesa ha meditato sulla fine dell’umanità, ricorrendo ai testi apocalittici.
I pittori si sono ingegnati a tradurre quegli astrusi testi con la forza dirompente delle immagini, in epiche rappresentazioni del “Giudizio universale.”
Nondimeno hanno fatto gli scultori.
I grandi portali delle cattedrali gotiche rendevano materica la punizione divina, uno spaventoso saluto che la Chiesa dava ai fedeli, l’infinito memento per tutti i comuni peccatori.
Ma anche nell’età moderna, nonostante una maggiore consapevolezza dell’uomo, il timore del “dopo” non scomparve, rimanendo uno dei tanti Moloch difficile da scacciare.
Ma la situazione non migliorò nei secoli successivi.
Sul finire del XV secolo, nella liberale Firenze, città d’arte e lettere, l’ordine dei domenicani pubblicava un opuscoletto, il De comptemptu mundi in cui si leggeva: «O voi che siete ciechi, giudicate oggi la vostra posizione, giudicate voi stessi se la fine dei tempi non è venuta»
Strettamente connessa all’attesa di Dio c’era la paura per il diavolo che anche nel XV e XVI secolo atterrì, come accaduto in pieno medioevo, seppur in forme diverse e originali.
Timori vecchi come il mondo che vennero, all’indomani della scoperta dell’America, “democraticamente” esportati nel “nuovo mondo.”
La paura in Occidente di Jean Delumeau è uno di quei libri che inducono il lettore a riflettere sulla condizione umana che, al netto del passare del tempo e dell’inevitabile evoluzione, rimane ancorata al suolo, appesantita da paure vecchie e nuove, che hanno impedito e impediranno all’uomo di volare davvero.
La paura, qualunque sia la sua natura, è insita nell’uomo, una terribile compagna che non tradisce, rimanendo per sempre al suo fianco.
Un perfetto strumento perfetto di cui il potere, in ogni sua forma e in ogni epoca, si serve per atterrire le masse.
Ieri attraverso il timore per l’aldilà, per Satana, per le streghe e per gli ebrei.
Oggi, essenzialmente, la paura più diffusa è quella per l’immigrato.
Alla fine leggendo il bel saggio di Jean Delumeau ci si accorge che non è cambiato davvero nulla.
Con buona pace di chi ha sempre creduto che la storia fosse maestra di vita.
Maurizio Carvigno