Ildegarda di Bingen, “La Guaritrice” che sfidò il Medioevo

21 luglio 1098. Bermesheim, GermaniaLuce. Dolore.Il dolore è nato con la luce.

La vera luce, bianca, accecante, dolorosa accoglie la nascita della piccola Hildegard dal grembo dolente della madre. Intorno a lei, veloci, si muovono le donne che assistono al parto. Svelte, avvolgono un corpo malaticcio, una neonata che non strilla. Metchild, la madre, istintivamente la affida a Dio: se mai sopravviverà, la bambina sarà sua. E mentre Hildebert, il padre, la battezza, il destino della piccola Hildegard sembra segnato. 
Ildegarda di Bingen
La guaritrice, di Anne Lise Marstrand-JØrgensenè un libro molto particolare. Intanto, particolare è il soggetto: Ildegarda di Bingen, mistica medievale, scrittrice, poetessa, naturalista e profetessa. Una figura sfaccettata, poliedrica, se anche misteriosa e sfuggente. 
Dall’infanzia trascorsa fino agli otto anni nella dimora paterna all’arrivo nel monastero di Disibodenberg affidata alle cure di Jutta di Sponheim, mistica anch’essa e severa educatrice, tutta la vita di Hildegard è segnata da visioni particolarissime, intense, sfiancanti. La vera luce le si rivela in tutta la sua potenza tanto da lasciarla spossata, inerme, febbricitante. Pure, quel copro fiaccato, malaticcio, debole di donna, si ribella al fatto stesso di essere donna nella ferma convinzione che quanto vede e quanto sente è giusto.

E nelle fredde giornate a Disibodenberg, Hildegard studia, domanda, si interessa, canta, prega, scrive. Troppo intelligente, troppo ribelle, pure così pura e ingenua da destare domande, perplessità. Chi è questa ragazza dai capelli color carota, che sostiene che Dio le parla, manifestandosi attraverso immagini e luce, sofferenza e carne? Dalle sue visioni, dal suo amore per il prossimo, dalla sua fama di conoscenza, se anche mitigata attraverso l’amico Volmar, la figura di Hildegard emerge prepotente dall’odioso castigo cui la donna doveva obbedienza, sfidando attraverso le proprie prese di posizione con priori e abati, frati e popolino, le convenzioni del tempo. La sua voce, le sue profezie, le sue convinzioni arriveranno fino al Papa che le darà l’assenso definitivo, il riconoscimento ultimo: e quel piccolo monastero di poche anime, finirà per accogliere una congrega di donne di cui lei stessa finirà per essere, suo malgrado, guida e madre. Nel bene e nel male. Non è una figura facile, quella di Ildegarda. Intanto, per le poche informazioni a riguardo. Ricostruirne tutta la travagliata vicenda, quindi, storicamente ineccepibile, è già di per sé un valido, validissimo motivo per leggere il libro. Se non fosse che Anne Lise Marstrand-JØrgensen non si  è fermata qui. Il carattere di Ildegarda, così psicologicamente sfaccettato, emerge, anche in questo caso, di prepotenza: se storicamente fu una donna sopra le righe, difficilmente inquadrabile, metterne a nudo le debolezze, la caparbietà, il senso di impotenza e le mancanze (come gli scatti d’ira improvvisi o la sua impazienza quando non capita) – che certo non hanno aiutato a rendere Hildegard un personaggio da romanzo, “facile” da comprendere e da amare – è stata una scelta coraggiosa da parte dell’autrice. Pure, il fascino indiscutibile della protagonista de La guaritrice sta proprio nel suo non essere stata mitizzata quanto ricondotta ad una dimensione umanamente, concretamente reale. 
In questo sta il vero merito di Anne Lise Marstrand-JØrgensen; ma dell’autrice vanno apprezzate tanto l’accuratezza della descrizioni quanto la prosa, se anche cruda ed essenziale. Il Medioevo leggendario viene sapientemente riproposto senza filtri, nella bellezza dei paesaggi ma anche nell’ottusità delle credenze e dei riti. Ancora una volta, la donna ci viene rappresentata come madre e, se non madre, monaca. Ed ogni cosa che sembra uscire da questo tracciato prestabilito, Dio la punisce. Così avviene per Benedikta, sorella smaliziata di Ildegarda, in una delle scene più crude del libro. Non ci sono sconti per chi non accetta il suo posto nella società. E mentre all’uomo è lecito possedere una donna, marchiarla e farla sua come una bestia da soma, l’universo femmineo viene ricondotto al silenzio attraverso il silenzio: obbedienza, accettazione, mortificazione. La ribellione caparbia di Hildegard comincia dall’obbedienza, dall’accettazione, dalla mortificazione. Ma a modo suo. Secondo le sue regole. Perché se non si è potuto scegliere, ma solo accettare, di vivere una vita regalata a Dio appena alla nascita, si può sempre scegliere come affrontarla, questa esistenza di sottomissione. 
Chiara Amati

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