Il Giardino delle Mosche. La banale storia del mostro della porta accanto

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La biografia di uno dei più efferati assassini della storia, pagine di straordinaria lucidità scritte da un grande romanziere: Andrea Tarabbia.

Andrej Romanovic Cikatilo è un convinto comunista, crede fermamente nella forza, nella supremazia, nel ruolo guida dell’Unione Sovietica. Per lui i dettami marxisti rappresentano un costante modello di riferimento, una via da seguire, una luce perpetua. A dispetto della radice etimologica del suo nome, Andrej deriva dal greco e significa maschio, Cikatilo non è affatto virile.

Fin da piccolo, infatti, una menomazione non gli permette di avere una normale attività sessuale. Nonostante ciò, grazie anche ad un’artigianale ma al tempo stesso prolifica tecnica di fecondazione artificiale, Cikatilo riesce ad avere due figli, un maschio e una femmina, ma non ad evitare una costante sensazione di frustrazione che accentua il suo già schivo carattere.

Ma questo, tuttavia, non è il suo segreto più intimo. Al netto di una vita apparentemente tranquilla, da buon marito e padre di famiglia, nonostante ripetute e lunghe assenze da casa e una serie di lavori inspiegabilmente lasciati, Cikatilo è un assassino, un efferato omicida, il peggiore, il più tristemente noto di tutta la Russia.

Lui, infatti, non si limita ad uccidere le sue “prede”. Le mutila in modo orribile, abbandonandosi spesso a pratiche omofagiche e altri indicibili orrori. È passato alla storia come il Mostro di Rostov, lo squartatore rosso, il macellaio. Epiteti che, tuttavia, non rendono giustizia di quello che realmente è stato quest’uomo, capace in dodici anni di uccidere cinquantasei persone, perlopiù adolescenti, anche se è possibile che le vittime siano state di più.

Il Giardino delle mosche di Andrea Tarabbia, edito da Ponte alle Grazie, è lo stupefacente racconto, sospeso tra finzione e realtà, della parabola assassina di questo uomo, in apparenza uno come tanti, con un’esistenza dettata da ritmi sempre uguali, monotoni, apparentemente ordinari.

Ma Citakilo, prima ancora che carnefice, è stato vittima di soprusi, di violenze, di emarginazione, di solitudine. Il Giardino delle mosche è la discesa nel personale inferno creato da questo assassino, è il resoconto in prima persona dell’orrore perpetrato da Cikatilo in dodici anni, dei suoi metodici crimini, di volta in volta sempre più affinati nelle modalità di esecuzione, che lo eccitano, molto di più di quanto potrebbe fare banalmente una donna.

Nella secolarissima URSS, Cikatilo, ogni qual volta uccide, si sente un dio, il freddo esecutore di un disegno più alto, consistente nell’eliminare dalla Russia comunista tutti coloro che, per motivi diversi, ne infangano il glorioso nome.

Prostitute, drogati, sbandati, perdigiorno, in una sola parola parassiti di un regime che Cikatilo vede lentamente sgretolarsi e che vuole intimamente salvare. Andrej Romanovic Cikatilo è “un pesce pulitore, un sanatore delle vergogne” di un paese che era stato risanato dai padri e che ora, invece, per colpa di una dirigenza indegna del passato, si sta colpevolmente infettando come le più comuni società occidentali.

Il giardino delle mosche (ispirato all’hobby di Cikatilo di realizzare piccoli insetti in rame), finalista allo scorso Premio Campiello, rappresenta uno straordinario esempio di narrazione biografica, una lucida ricostruzione della vicenda umana, e per lo più disumana, di un uomo che ad un certoil giardino delle mosche punto si sentì davvero investito da una missione catartica sullo sfondo di un impero, quello sovietico, che stava venendo giù come un castello di carte, travolto soprattutto dalle sue infinite contraddizioni, dai suoi irrisolti problemi. Un mondo che da vicino, senza le deformanti lenti dell’ideologia, appariva ben più mesto e misero di quanto si potesse oggettivamente pensare.

Tarabbia, nella sua opera forse più riuscita, ci scorta in questo luogo infinito degli orrori, che ha inizio in una gelida mattina del 1978 e che finisce nel 1990, agli albori di un’altra era geologica, che di lì a poco vedrà il frantumarsi silenzioso di un sistema che avrebbe dovuto sfidare i secoli, seppellendo tutto e tutti.

Nella prosa asciutta ma al tempo stesso articolata di Tarabbia non c’è mai né commiserazione per il Mostro, né tanto meno pruriginosa attenzione verso il macabro, ma solo voglia di raccontare una pagina di banale drammaticità, mostrando, semplicemente, l’altra faccia della luna, quella costantemente celata. La sua è una lettura asettica ma anche, è non è un ossimoro, partecipe.

Scegliendo la narrazione in prima persona Tarabbia mette al centro di tutto Cikatilo, lasciando in un piano sfocato tutti gli altri personaggi, a partire dalla moglie e dai figli, riuscendo, in tal modo, ad entrare direttamente nella testa dell’omicida, in quel suo apparente ed ordinato senso delle cose, per cui quei delitti sono azioni utili, anzi del tutto necessarie.

Cikatilo è il mostro della porta accanto, in lui non ci sono segni di pazzia ma neanche geniali manifestazioni di follia, solo e soltanto una dilagante normalità che lascia, alla soglia del patibolo, solo mute domande, quelle stesse che molti anni prima avevano posto grandi i più grandi scrittori russi.

Maurizio Carvigno

Nato l'8 aprile del 1974 a Roma, ha conseguito la maturità classica nel 1992 e la laurea in Lettere Moderne nel 1998 presso l'Università "La Sapienza" di Roma con 110 e lode. Ha collaborato con alcuni giornali locali e siti. Collabora con il sito www.passaggilenti.com

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