“Il dolore del tiglio”: le metamorfosi del rapporto fra i sessi

La metamorfosi è l’essenza della vita. 

Nulla è sempre uguale a se stesso e evoluzione e fusione sono le tappe fondamentali del percorso amoroso. 
Tu diventi un po’ me, io divento un po’ te: insieme due “io” si mutano in un “noi”, nel rispetto della reciproca identità.
Un giorno Zeus, come suo solito annoiato dalla perfezione del tempo olimpico, assunse le fattezze umane di un pellegrino e, così camuffato, discese, accompagnato da Ermes, lungo le vie della Grecia per raggiungere la Frigia, incuriosito dai suoi abitanti.
I due bussarono di porta in porta, per chiedere ospitalità, ma nessuno si mostrò benevolo. Quando le speranze sembravano perdute, furono accolti con generosità in un’umile capanna fatta di canne abitata da due vecchi sposi, Filemone e Bauci. I due, pur essendo molto poveri, misero a disposizione dei due finti pellegrini il poco che possedevano, dividendo con loro la cena e preparando un giaciglio per la notte. Miracolosamente il parco cibo continuava a rigenerarsi finché i due vecchi, sorpresi, appresero di trovarsi al cospetto di Zeus ed Hermes, i quali, per ricompensarli, li invitarono ad abbandonare la capanna e a recarsi in cima al monte. In seguito, il resto delle case, per punizione divina, fu sommerso da una palude e solo la capanna si salvò, per poi trasformarsi in un maestoso tempio. 
Infine, Zeus chiese loro cosa desiderassero più di ogni altra cosa: entrambi, senza esitazione, espressero la volontà di morire nel medesimo istante, così da non soffrire uno della mancanza dell’altra. 
Al termine della vita, quindi, si trasformarono rispettivamente in una quercia e un tiglio, uniti per il tronco, in un eterno abbraccio. 
Eppure il mito si evolve, anch’esso. E a volte si deforma, purtroppo mostruosamente. 
La quercia cinge il tiglio troppo forte, provocandogli dolore, spezzandone i rami, violandone le gemme. 
A volte il tiglio si secca, e muore lentamente. 

A volte viene reciso d’impeto, e muore in pochi istanti. 
Tale storia antica, che continua, in mille metamorfosi dell’orrore, ce la racconta ancora, per non dimenticare e per agire, Laura Scanu, nel suo breve romanzo, “Il dolore del tiglio”, edito da Twins nel 2016. 
Lucilla, la protagonista, è una donna vittima di violenza psicologica e fisica da parte del marito, attraversata da lance di sofferenza e da mille pensieri che sbocciano fra le sue fronde, chiome femminee che profumano di primavera, di rinascita. 
Lucilla splende, sole e non solo luna, e, seguendo la propria luminosa forza interiore, può operare una scelta: girare pagina, riscrivere una fine prematura, scrivere un nuovo capitolo, nero su bianco. 
Il tiglio rifiorisce, libero, e dalle sue amputazioni nascono frutti maturi, che sfameranno le piante figlie.
Lo stile di Laura Scanu è intenso, incisivo. La sua prosa poetica è vagito di neonato e nenia di prefica, è seme che dorme in una lapide, trasformando la storia in righe d’inchiostro e le righe in versi senza rime, ma intrisi di potenza evocatrice. La scrittrice diventa, così, nuova Era, ossia novella Dea del femminile e, al contempo, epoca da vivere, affinché il futuro soffochi la violenza e accolga la pace di un abbraccio di vero amore. 
Emma Fenu

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