“Ammettiamo che l’albero parli”, la nuova opera di Claudio Marrucci
Giosuè è uno scrittore psicolabile che uccide la madre in un momento di follia e si rifugia, in preda al dolore, in un mondo parallelo.
Ammettiamo che un poeta decida di scrivere un romanzo con lo stesso approccio stilistico con cui ha sempre composto liriche, che abbandoni censure e cesure del romanziere incentrato sulla narrazione pragmatica e impersonale di certe opere contemporanee.
Solo un poeta infatti può far parlare alberi e indurre la razionalità a capitolare: mi riferisco all’ultima opera di Claudio Marrucci dal titolo Ammettiamo che l’albero parli.
Il volume è pubblicato dalla casa editrice romana Fahrenheit 451, tornata dopo un periodo di assenza editoriale con la neonata collana “Narraitalia” diretta da Antonio Veneziani, illustre esponente della storica scuola romana di poesia.
Marrucci è un giovane e validissimo poeta, traduttore, ispanista che lascia ben sperare nel futuro della letteratura italiana.
La sua opera, frutto di un lavoro lungo e ricercato, appare in realtà come la tessitura di un sogno, l’atto psichico inconscio per eccellenza che si consuma in una piccola frazione di tempo condensando una lunghissima narrazione.
Si parla, anzi si evoca la confessione di una vita nella sua quotidiana illusorietà di dare un senso logico agli atti, ai sentimenti e alla stessa felicità.
Giosuè è uno scrittore psicolabile che uccide la madre in un momento di follia e si rifugia, in preda al dolore, in un mondo parallelo ma realistico dove il trauma di una perdita affettiva lo porterà ad ammettere il suo delitto fino a compiere il gesto estremo del suicidio, in una cella manicomiale.
I due protagonisti (uno è reale ma compromesso dalla follia, l’altro è la sua immagine speculare ed irreale che cerca nella sequenzialità dei legami affettivi il significato della sua perdizione) si confessano in un incessante flusso di pensieri.
Ogni capitolo dedica una parte di esistenza alla sacralità di una dissacrazione ingenua e primitiva, dando nome e corpo alla carne che si alimenta di deliri, di affanni, ma anche di preziosità varie.
L’autore è un raffinatissimo cultore delle arti e un umanista eccezionale e la spregiudicatezza estetica con cui racconta la sua creatura è così naturale da evocare alcuni dei grandi classici che ricorda nei titoli dei paragrafi. Giosuè-Claudio rappresentano, o sarebbe meglio dire rappresenta, il manifesto intellettuale di Claudio Marrucci.
Se lo scrittore vive di storie dell’anima comuni a tutto il mondo, qui c’è una grande determinazione a racchiudere il mondo dentro il proprio involucro embrionale, esistenzialista ma non autarchico.
Egli ha bisogno dell’altro, della grande Storia, delle radici.
In ogni passo si intravede un rimando alle proprie esperienze, avidamente rubate alla casualità del fato, saldate insieme dalla dimensione patologica di una follia pietosa, teneramente ancorata ai grandi Miti irrisolti: la Madre e la dipendenza dal seno cattivo, il Padre e l’incontinenza della parola, il rifiuto del Verbo.
C’è tutta la migliore letteratura come sfondo integratore del romanzo, l’età classica, le radici ebraiche, l’eresia e la ricchezza filosofica del politeismo.
Questo tributo alla debolezza più grande, la follia, è tenero e appassionato perché il filo che tiene appeso alla dimensione del “disumano” inteso come non convenzionale è fragilissimo e doloroso, e non è rifugio inconsapevole né disprezzo per le regole.
Ed è testimonianza di un male di vivere autentico e tenacemente attaccato al bisogno di certezze la presenza compulsiva dell’Arte in tutte le sue manifestazioni, al centro di un mondo privato barbaramente da ogni morale.
Antonella Rizzo
Ammettiamo che l’albero parli
Autore: Claudio Marrucci
Edizioni Fahrenheit 451
ISBN 788899791025
Euro 13,00