Mi chiamo Elettra e, in un mondo di Ferrari, la Natura mi ha voluto Pandino scassato di seconda mano. Della mia natura di macchina schifosa, inquinante e poco desiderata mi ero d’altra parte resa conto fin dalla verde età quando il bambino che aveva attirato le mie grazie alle elementari, aveva sbarrato la casella del No alla domanda classica e innocente del Ti vuoi mettere con me?; aveva calcato così tanto sulla pagina che la carta, bagnandosi di inchiostro, si era strappata.
Rifiutata da tutti i miei più grandi amori, e d’altra parte se non avevo avuto né bellezza né carisma avevo ricevuto in dono una tendenza a trovarmi l’amore della vita circa due volte al giorno, avevo finito per andare in sposa ad un uomo mediocre, conosciuto alla sagra del fungo porcino mente beveva una birra triste, con degli amici tristi, su una panca triste.
Quest’ uomo qui lavora dunque otto ore al giorno in un ufficio, non ha inclinazioni particolari, non fa nulla di particolare, non ha segni particolari, è parte della massa, è il simbolo della massa, ama le cose che amano tutti, fa le cose che fanno tutti gli uomini, o quella parte degli uomini che ho conosciuto o che, più realisticamente rispetto ai miei contatti con l’altro sesso, mi hanno raccontato. Nell’ordine: ama la birra, quella industriale, ama il calcio e quando gioca la maggica si mette a urlare, legge solo i titoli degli articoli e pensa quindi di aver compreso il mondo, ama Diletta Leotta e Miriam Leone, e forse ama -e non in senso platonico- pure la sua nuova collega. Invece odia ugualmente le cose che odiano tutti i maschi, quindi: lo shopping, il pranzo con la suocera, le scenate di gelosia.
Abbiamo due bambini, non troppo belli né troppo intelligenti, la domenica mattina ci scambiamo il segno di pace ma la domenica pomeriggio dopo pranzo a stento ci parliamo, il sabato sera andiamo a mangiare nella solita pizzeria da anni e prendiamo la stessa pizza da anni con gli stessi amici da anni, tranne quelli che hanno divorziato: ecco, quelli divorziati non li vedi più, questo l’ho capito, finiscono nello spazio parallelo dei divorziati di cui nessuno sa niente.
Succede infatti che qualcuno si stufi di sopportare tutta questa normalità: non si tratta d’amore perché all’amore, man mano che ti avvicini a quei brutti -anta, non ci credi più. Ecco, l’amore -ora so cosa risponderei a chi tempo fa mi chiedeva cosa fosse- è il Babbo Natale dei vent’anni, forse un po’ dei trenta, ma poi diventa mitologia, tipo il Minotauro, e nessuno che sia sano crede al Minotauro. Quando la gente si stufa, subentra allora il divorzio che a quel punto è come andare dal dentista a farsi tirare un dente cariato. E così, impotenti martiri d’una vita normale, avevamo visto molti nostri amici diventare denti cariati.
“Ci pensi, pure Dario pare c’abbia le corna” la sagoma di mio marito scivola in camera. Non vuole fare realmente conversazione, sta cercando il telecomando della televisione. Sempre stata contraria alla tv davanti al letto: sì, mo’ tutti i problemi del mondo sono dovuti alla televisione.
Si sfila la felpa, si mette dal suo lato con i pedalini sporchi, accende la televisione.
“Non è ancora detto” non voglio fare realmente conversazione, voglio mantenere le apparenze. Guarda lo schermo, sente di strascico un notiziario su una certa crisi che ha investito il potere.
“Hai visto che bordello sta a succede al governo?”
Mio marito non ha mai capito troppo di politica, così si limita a commentare con l’onnicomprensivo ed assai accogliente bordello che è pure la stessa parola che applica a tutte le situazioni che non comprende ma su cui sente di dover parlare.
Il cellulare vibra sul comodino: a caratteri scuri campeggia Manfredi.
Lo sconosciuto nel letto mi chiede chi sia. Il tecnico, dico, ed un po’ è vero. Mezza bugia, mezza verità. Manfredi non sarà in questo caso il figlio di Federico di Svevia ma come lui è un conquistatore illegittimo che, da qualche tempo a questa parte, ha piantato la sua bandierina nel centro esatto del mio cuore: negli anni la predisposizione a prendermi sbandate di tutto rispetto non è mai cambiata. Manfredi, che oltre lo spazio stretto della mia rubrica si chiama Alberto, è l’uomo che mi salva dall’essere il dente cariato, il dentifricio super fresh che mi smacchia il tartaro matrimoniale. Bello, con due pietre azzurre un po’ opache nelle orbite, i capelli quasi grigi. Il mio cuore, a suon della sua voce, ha fatto dei botti paurosi e nel giro di qualche vocale mandato su Telegram mi sono riscoperta cotta e stracotta come una pera.
Ecco, mi sono detta a sentirlo parlare, ecco che l’amore invece esiste, e non c’è un universo dei divorziati e i denti cariati vengono curati e sostituiti, e per ogni marito normale c’è un uomo-altro.
Babbonatale esiste, avevo continuato, viva la Svevia, e viva l’imperatore!
Così, una sera, gli ho detto, proprio così: io mi sa che un po’ mi innamoro. Ecco allora crollato il mito imperiale: Alberto si è fatto nel tempo più schivo, è tornato uomo-primo, e un’altra sera –che schifo la comunicazione tempestiva– con quella stessa voce lì, ha detto: forse invece sono anche io un po’ sposato.
Io Elettra, Pandino fiero da generazioni, mi sono scoperta con le ruote tagliate. E’ difficile dire come, grazie a Manfredi-Alberto, ho maturato l’idea del divorzio: sono stata moglie, amante, madre, moglie, amante madre; la giovinezza l’ho perduta nella spasmodica ricerca del ruolo, la vita adulta l’ho trascorsa adattandomi ad esso: ora, a quarant’anni, spogliarmi dal mio essereMoglieAmanteMadre mi fa essere un niente, e oltre il nome nulla mi è rimasto, se non una vita mediocre fatta di cose da pagare a fine mese.
Io e Mio Marito ci siamo separati poco dopo: basta non andare per avvocati, ha detto, mettendo a letto i bambini. Due mesi dopo, manco a dirlo, siamo in tribunale, balzandoci i pesi della vita insieme, svuotando i sassolini dalla scarpa sino a farne una valanga. Ci vuole coraggio e amore infinito a lasciarsi andare senza odio, e noi non abbiamo avuto né l’uno né l’altro.
Ho preso una casa più piccola, nella periferia, e la prima sera che mi sono ritrovata sola- quell’agognata condizione straniera- era il giorno degli innamorati. E’ difficile anche essere soli in realtà perché se ti siedi sul divano e dimentichi il telecomando non puoi chiamare nessuno perché te lo porti. Ma così stanno le cose adesso: finalmente una nuova vita, un nuovo inizio…
il cellulare, lasciato abbandonato sul lato vuoto del divano, vibra. Sta scritto Manfredi. Il messaggio dice: “Comunque sto divorziando” e a conclusione delle tre parole una marea di puntini, ad alludere ad altre conclusioni.
Serena Garofalo