Comunque Natale

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Il messo comunale gli aveva detto di addobbare, almeno un po’, nel rispetto e nel decoro dei morti, il cimitero perché Natale dev’essere Natale per tutti, anche per chi è imbalsamato stecchito sotto metri di terra. Il guardiano del cimitero aveva fatto spallucce: che se ne fa un morto del Natale? Che se ne fa un vivo di un morto che ha un addobbo sulla tomba? Si sente meno in colpa del fatto di essere vivo, lui sì e l’altro no. Così pensava Graziano, stringendosi nel brutto cappotto di finta lana, sporco di foglie e terra.

“C’ mettim na’ ghirland all’ingresso” rispose e si ritirò nello stanzino. Grazie a Dio, lui almeno non era morto, ucciso dal Morbo Letale. Una malattia tremenda assai, che ti faceva la pelle a squame e ti bruciava gli organi dall’interno, pure i polmoni ti faceva collassare, quella malattia lì, e gli scienzati non avevano trovato altra fantasia che chiamarla Morbo Letale.

Quell’anno, anno domini 1986, a Carife era morta metà del paesello: non c’era mai stata annata migliore per essere becchino. Graziano aveva lavorato a pieno ritmo, un funerale al giorno, e aveva pianto ogni volta: non c’erano più becchini bravi come lui. E mo’, dal comune gli venivano a dire: il Natale dev’essere Natale, pure se nel cimitero non c’è più manco una fossa libera.

Chi non lavora con la morte molto spesso se ne dimentica e delira d’onnipotenza, com a chill, u strunz che lavora al comune! Frugò nello stanzino, tirò fuori un addobbo circolare che vagamente somigliava a un ramo d’abete intrecciato. Percorse a passi lenti il viale principale, gettò l’occhio a qualche lapide, e dopo che fu giunto alla cancellata d’ingresso, appese l’obbrobrio verdastro.

Attraversava la strada in quel momento, con un fazzoletto annodato in capo, la vedova Falzullo, una donnina piccola come un ramoscello al sole. Il marito gli era morto senza più poter respirare due mesi prima. Il Morbo Letale se l’era portato via e i medici le avevano detto: ringrazi che non è morta pure lei!

Graziano ironicamente le disse: “Buon Natale!” ma da un gesto eloquente e poco elegante della vecchia s’accorse che la vedova Falzullo non aveva voglia di festeggiarlo, il Natale. Si avviava mogia mogia, aiutando il passo con un bastone, verso la tomba del marito. Graziano lo sapeva: da due mesi a questa parte ogni giorno alle dodici andava a trovarlo perché quello era l’orario in cui i due pranzavano insieme e poi lui si addormentava russando e non le faceva sentire la tv, e non c’era modo che si svegliasse e la smettesse di ronfare. Stava lì, in piedi, davanti alla distesa di marmo, come se ancora s’aspettasse che, dal tumulo di terra, si sollevasse quel borbottio sonnolento che le disturbava i pomeriggi. Ma la Morte non è Sonno, e lui becchino fiero da generazioni lo sapeva bene. Eppure, per quella vecchia quasi sperava che la Natura facesse semmai un’eccezione. Il miracolo però non avveniva mai e alle quattordici la vedova, con lo stesso passo lento, lasciava il cimitero. Graziano le sorrideva sempre sperando di lenire un po’ quel dolore che pure doveva esserci in quel gracile corpo di donna: crudele la morte con lei era stata due volte; a prendersi il marito e a non prendersi lei.

Dunque il nostro guardiano, a vederla, seppe che era mezzogiorno. Lanciò un ultimo sguardo perlpesso alla ghirlanda e se ne tornò: c’erano da curare le aiuole, controllare i lumi della defunta signora Rossellini ‘ché i parenti s’erano lamentati, ricopiare in ordine il registro delle nuove morti.

Prese la carriola che giaceva lungo il viale piena di terra, e se ne andò verso sinistra, dove c’erano le tombe più vecchie. C’era un signore morto ai primi dell’Ottocento che da sempre lo guardava dal suo cerchietto placcato d’Oro. Aveva due baffoni neri e uno sguardo austero che pareva sempre avesse da ridire.

“Sto facendo le aiuole qui, accussì par cchiù bell. O no?” disse, parlandogli, chinandosi e afferrando la piccola pala che aveva appesa alla cintura. Spianò il terreno, ne aggiunse dell’altro dalla carriola. “Voi almeno siete morto dopo aver fatto la vita vostra. Ccà a gent mor appena nasce.”

Giacomino, però, il suo aiutante tuttofare, così chiamato perché gli pesava sulla schiena una modesta gobba, venne a interrompergli il discorso col morto: appariva trafelato, sudato, pallido.

“Grazià, avete presente il Tenente?”

“Quello che si è ammalato del Morbo Letale?”

“Sì, è morto!”

“E non l’avevano portato in ospedale ieri?”

Giacomino lo guardò “E mo’ è morto! Pure lui non respirava più!”

Graziano si chinò a mettere dei semi, Giacomino lo guardò. “Qui al cimitero posto non ci sta cchiù. Dite alla famiglia che io posso fare il funerale se loro mi trovano un posto, ma qui io, il Tenente, non posso metterlo.”

Giacomino capì che non c’era da replicare, che il posto veramente non c’era: il Tenente, anima viva di Carife, sarebbe stato seppellito in un paese vicino, o nel primo paese che teneva un posto vacante.

Quando Giacomino fu andato via, Graziano si scusò col morto di interrompere la visita ma doveva andare ad aggiornare il registro, o se ne sarebbe dimenticato. Il Tenente era un nobile decaduto, o un poveraccio che diceva di esserlo. Sui sessanta, nessuno sapeva di cosa campasse, visto che trascorreva le giornate in piazza, a parlare di politica, di società, di massimi sistemi. Mai che avesse pronunciato anche una singola parola sullo sport, sulle donne, sulle sciocchezze. Carife pareva essere nata con lui o almeno tutti pensavano a lui quando si parlava di Carife.

Aggiornò il registro, scrisse: 24 Dicembre 1986, morto Gennaro Borriello detto Il Tenente. Ubicazione da definire.

La morte ufficializza le cose, pensò, le rende come sono. Così il Tenente sarebbe stato per sempre Gennaro sul freddo della lapide: e buon Natale, disse al registro, buon Natale anche a te. Una sensazione di appiccicosa malinconia gli formicolò sulla punta delle dita scorrendo i nomi sulla pagina. Due giorni prima era mancata Vanesia, venere di Carife, che faceva il mestiere per passione. Una ragazza dalle belle forme piene, sana, flessuosa: lavorava in una casetta in un vicolo dopo la chiesa, vicolo conosciuto a memoria da tutti gli uomini del paese. Pure lui, Graziano , aveva avuto per Vanesia una malsana attrazione ma lei, tutta scontrosa in quel sorriso fasullo che gli metteva su, non aveva mai accolto Graziano nel suo letto: ti si sente l’odore della morte, gli diceva, e finirai con lasciarlo addosso anche a me. Almeno un bacio, la supplicava, ma lei negava tutta seria e diceva che con la morte c’è poco da scherzare. Poi, era morta anche lei. La malattia l’aveva fulminata, velocissima: Graziano era stato felice. Almeno non hai avuto modo di sentirlo, l’odore che ho addosso, e, quando le aveva chiuso la bara, aveva evitato di guardarla. Pure la Bellezza e pure L’ Amore muoiono: e allora Buon Natale, Buon Natale, disse più forte, con la voce che gli pungeva sulla gola. Che idiozia, il Natale!

Uscì borbottando, quasi stava dimenticando che doveva finire le aiuole che per poco non si scontrò con la signora Anna con in braccio il suo nato da poco.

“Buon Natale” la signora disse e Graziano le rispose, questa volta non ironicamente, “Buon Natale.”

Si chiese cosa ci facesse lei, con il profumo della vita fin nei capelli, in quel luogo di morte, davanti a lui, che era un Caronte un po’ stanco.

“Salve Signor Graziano, volevo dirle che io forse devo morire.”

Il guardiano se la guardò, stralunato. Guardò il bambino che dormiva beato: quanto si vede che dorme e non è morto. “Vede, Graziano, io sono malata: ho i polmoni che mi vanno a fuoco. Mi tiene il bambino, mentre muoio? Che dice?”

Graziano guardò il bambino: quanto si vede che dorme e non è morto…

Chi si occupa della morte, può occuparsi pure della vita. Chi scrive la fine, può preoccuparsi pure dell’inizio. Graziano prese il bambino e delicatamente se lo strinse al petto.

“Allora, signora, vada a morire. La celebrerò io.” non trovò meglio da dire, ma sollevò il bambino verso la spalla perché non vedesse la madre andare via.

Forse si sbagliava, Graziano: passeggiò sul vialone, arrivò al cancello. Guardò l’addobbo: arriva il Natale, disse al bambino minuscolo tra le sue mani screpolate, il Natale te lo prometto che arriva comunque.

Serena Garofalo

Figlia di Partenope e degli anni 2000, scribacchina ambulante, studentessa di Lettere per folle amore.

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