Come abbiamo già visto con Plutarco, il genere letterario della biografia poteva essere a stampo peripatetico oppure alessandrino. A portare avanti questo secondo tipo di biografia sarebbe stato proprio Svetonio, scrittore latino di modeste condizioni (la famiglia apparteneva all’ordine equestre).
Già da giovane era entrato a svolgere un ruolo importante nella corte imperiale: fu, infatti, procuratore a studis (archivio imperiale), a bibliothecis (direttore delle biblioteche pubbliche romane) e ab epistulis (sovrintendente alla corrispondenza imperiale); questo gli consentì di venire a conoscenza delle voci di corridoio che circolavano sugli imperatori all’interno della corte.
Il gusto per il pettegolezzo
L’interesse per lo scandalo e il pettegolezzo ben si intrecciavano con lo stile alessandrino: a prevalere, infatti, non è l’ordine cronologico degli eventi, ma l’analisi incentrata sugli aspetti più interessanti e stravaganti della vita privata di un personaggio. Questo stile, che era stato creato nel mondo greco per illustrare le figure degli uomini di cultura, giunse nel mondo latino: la storiografia, di origine senatoria, non era più adatta a descrivere questa nuova forma di potere molto più individualistica, che era quella dell’imperatore.
Il genere della biografia era, inoltre, molto più adatto ad una narrazione che ha molto del “romanzesco” rispetto alla storiografia; un esempio può essere fornito dal ritratto di Caligola:
De vita Caesarum [Caligola; 50]: «Caligola aveva la statura alta, il colore livido, il corpo mal proporzionato, il collo e le gambe estremamente gracili, gli occhi infossati e le tempie scavate, la fronte larga e torva, i capelli radi e mancanti alla sommità della testa, il resto del corpo villoso. Per queste ragioni, quando passava, era un delitto, punibile con la morte, guardarlo da lontano o dall’alto o semplicemente pronunciare, per un motivo qualsiasi, la parola capre. Quanto al volto, per natura orribile e ripugnante, si sforzava di renderlo ancora più brutto studiando davanti allo specchio tutti gli atteggiamenti della fisionomia capaci di ispirare terrore e paura. La sua salute non fu ben equilibrata né fisicamente né psichicamente. Soggetto ad attacchi di epilessia durante la sua infanzia, divenuto adolescente, era abbastanza resistente alle fatiche, ma qualche volta, colto da un’improvvisa debolezza, poteva a mala pena camminare, stare in piedi, riprendersi e sostenersi. Lui stesso si era accorto del suo disordine mentale e più di una volta progettò di ritirarsi per snebbiarsi il cervello. Si crede che sua moglie Cesonia gli fece bere un filtro d’amore, ma che ciò lo rese pazzo. Soffriva soprattutto di insonnia e non riusciva a dormire più di tre ore per notte e nemmeno in tranquillità, perché era turbato da visioni strane. Una volta, tra le altre, gli sembrò di trovarsi a colloquio con lo spettro del mare. Così, generalmente, per buona parte della notte, stanco di vegliare o di stare sdraiato, ora si metteva seduto sul suo letto, ora vagava per gli immensi portici, attendendo e invocando il giorno.»
Nel primo paragrafo, la dettagliata descrizione dei tratti fisici, che vogliono proprio sottolineare la mostruosità del suo aspetto, corrispondono ad una psiche altrettanto tremenda. A gettar ulteriore negatività sulla mente di Caligola sono gli elementi presenti nel paragrafo successivo: l’epilessia, il filtro magico e l’insonnia sono clichés della follia nell’immaginario letterario antico.
Nerone
Uno dei personaggi più interessanti è sicuramente l’eccentrico imperatore Nerone; qui vengono riportati due passi dove si trattano, rispettivamente, le sue perversioni sessuali e uno dei fatti che lo hanno reso celeberrimo… buona lettura!
De vita Caesarum [Nerone; 28-29, 38]:
«[28] Oltre alle sregolatezze con giovani ragazzi e alle sue relazioni con donne sposate, fece violenza anche alla vestale Rubria. Poco mancò che prendesse come legittima sposa la sua liberta Acte e aveva assoldato alcuni ex consoli perché certificassero con un falso giuramento che essa era di origine regale. Dopo aver fatto evirare un fanciullo di nome Sporo, tentò anche di trasformarlo in una donna, se lo fece condurre con la sua dote e con il suo velo color fiamma, con un gran corteo, secondo l’ordinario cerimoniale dei matrimoni e lo trattò come suo sposo; il fatto suggerì a qualcuno questa battuta molto spiritosa: «Che fortuna per l’umanità se suo padre Domizio avesse avuto una simile moglie.» Questo Sporo, agghindato come un’imperatrice e portato in lettiga lo seguì in tutti i centri giudiziari e i mercati della Grecia, poi, a Roma, Nerone lo portò ai Sigillari, baciandolo ad ogni momento. Avrebbe voluto avere rapporti carnali persino con sua madre, ma ne fu dissuaso dai nemici di Agrippina che non volevano il predominio di questa donna odiosa e tirannica grazie a questo nuovo genere di favore; nessuno dubitò mai di questa sua passione, soprattutto quando ammise nel numero delle sue concubine una prostituta che si diceva somigliante in modo impressionante ad Agrippina. Si assicura anche che in passato, ogni volta che andava in lettiga con sua madre, si abbandonava alla sua passione incestuosa e che veniva tradito dalle macchie del suo vestito. [29] Prostituì il suo pudore ad un tal punto che, dopo aver insozzato quasi tutte le parti del suo corpo, ideò alla fine questo nuovo tipo di divertimento: coperto dalla pelle di una bestia feroce, da una gabbia si lanciava sugli organi genitali di uomini e di donne, legati ad un tronco, e, quando aveva imperversato abbastanza, per finire, si dava in balia del suo liberto Doriforo; da costui si fece anche sposare, come lui aveva sposato Sporo, e arrivò perfino ad imitare i gridi e i gemiti delle vergini che subivano violenza. Ho saputo da molte persone che Nerone era assolutamente convinto che «nessun uomo fosse pudico e puro in nessuna parte del suo corpo, ma che la maggior parte dissimulava il vizio e lo, copriva con astuzia», e perciò a coloro che gli confessavano apertamente la loro impudicizia perdonava anche ogni altro delitto. […]
[38] Non risparmiò né il popolo né le mura della sua patria. Una volta che un tale, nel mezzo di una conversazione generale, disse: «Quando sarò morto, la terra si mescoli con il fuoco,» egli lo interruppe gridando: «Anzi, mentre sono vivo!» e realizzò pienamente questa sua aspirazione. In realtà, con il pretesto che era disgustato dalla bruttezza degli antichi edifici e dalla strettezza e sinuosità delle strade, incendiò Roma e lo fece così apertamente che molti ex consoli, avendo sorpreso nei loro possedimenti alcuni suoi servi di camera con stoppa e torce tra le mani, non osarono toccarli, mentre alcuni magazzini di grano, che occupavano presso la «Casa dorata» un terreno da lui ardentemente desiderato, furono abbattuti con macchine da guerra e incendiati perché erano stati costruiti con muri di sasso. Il fuoco divampò per sei giorni e sette notti, obbligando la plebe a cercare alloggio nei monumenti pubblici e nelle tombe. Allora, oltre ad un incalcolabile numero di agglomerati di case, il fuoco divorò le abitazioni dei generali di un tempo, ancora adornate delle spoglie dei nemici, i templi degli dei che erano stati votati e consacrati sia al tempo dei re, sia durante le guerre puniche e galliche e infine tutti i monumenti curiosi e memorabili che restavano del passato. Nerone contemplò questo incendio dall’alto della torre di Mecenate e affascinato, come diceva, dalla bellezza della fiamma, cantò la Presa di Troia», indossando il suo costume da teatro. E per non lasciarsi sfuggire l’occasione di afferrare tutto il bottino e le spoglie che poteva, promise di far togliere gratuitamente i cadaveri e le macerie e non permise a nessuno di avvicinarsi a ciò che restava dei suoi beni; poi, non contento di ricevere contributi in denaro, ne sollecitò e ridusse quasi alla rovina le province e i privati cittadini più facoltosi.»
Lorenzo Cardano