Ospite del Teatro India per il festival Dominio Pubblico è il progetto fotografico Spazi Altri.
Spazi altri è un progetto fotografico di Simone Galli e Federico Cianciaruso. Le loro fotografie non nascono da un progetto comune: il progetto prende vita quando i due si rendono conto di avere influenze e risultati molto affini. Dichiarate sono le influenze di fotografi quali Luigi Ghirri e Stephen Shore. La riflessione sulla restrizione e dilatazione degli spazi è sicuramente un trait d’union dei due percorsi fotografici. Come dichiarano i due autori, la comune ispirazione nasce anche da un testo. Si tratta di Utopie Eterotopie di Michel Foucault (1926-1984). Il libro consiste nella traduzione di due conferenze che vertono sul rapporto tra il corpo e lo spazio (privato, pubblico, architettonico).
Scrive Foucault:
Il corpo è il punto zero del mondo; laddove le vie e gli spazi si incrociano, il corpo non è da nessuna parte: è al centro del mondo questo piccolo nucleo utopico a partire dal quale sogno, parlo, procedo, immagino, percepisco le cose al loro posto e anche le nego attraverso il potere infinito delle utopie che immagino. Il mio corpo è come la Città del Sole, non ha luogo, ma è da lui che nascono e si irradiano tutti i luoghi possibii, reali o utopici. (Utopie Eterotopie – Michel Foucault)
È dunque proprio questa riflessione sullo spazio che anima gli scatti di Simone Galli e Federico Cianciaruso.
Memori di Ghirri sono, ad esempio, alcuni scatti in cui la linea dell’orizzonte è sfumata e lo spazio è dilatato. L’affinità di alcuni lavori è innegabile, tanto che talvolta è difficile distinguere le diverse mani di alcuni scatti.



Ma non è solo uno spazio che si dilata, quello di Spazi Altri. È anche uno spazio all’interno dello spazio, un effetto di sfondamento prospettico dato da quadri o finestre – elementi quotidiani, comuni. Tramite i quali l’osservatore si affaccia su dei microcosmi accedendo a un livello spaziale ulteriore, per l’appunto uno spazio altro dal primo.
La ricerca dell’alterità passa soprattutto attraverso l’entità degli spazi, ma non solo. Alcuni notturni sfruttano luci e ombre per ottenere svariati effetti.
Così, a volte, nella notte alcuni soggetti vengono privilegiati e ottengono più risalto, come avviene in certi quadri di Eward Hopper. Viene isolata quella luce che si fa epifania.
La selezione degli scatti è quantitativamente modesta, anche se dà un’idea adeguata del lavoro. La dimensione ridotta delle stampe obbligava in qualche modo l’osservatore a prestarvi più attenzione.
È pur vero che, anche se lo spazio a disposizione non era moltissimo, la struttura del teatro India poteva essere in qualche modo congeniale al discorso di Spazi Altri. L’ex-complesso industriale è tutto sommato uno spazio altro rispetto a quello che era originariamente e rispetto alla città di Roma. Ad ogni modo, si attende con ansia un’esposizione più ampia che valorizzi ancora di più i due promettenti percorsi.
Davide Massimo
