Nato nel ’75 del secolo sbagliato, o forse solo innamorato di epoche lontane, Alessio Serpetti è sicuramente un artista che conosce la storia dell’arte, la cita con grande tecnicismo nelle sue opere e la sa piegare alle sue tematiche.
Non ha velleità da pioniere: nulla di totalmente nuovo o sperimentale prende spazio nei suoi lavori. La tecnica del carboncino o quella incisoria dell’acquaforte gli permette infatti di oscillare con eleganza fra il classico e l’allegorico: Alessio Serpetti si rifugia in tecniche antiche padroneggiate con cura e garbo, e in soggetti ancestrali appartenenti a un mondo lontano nel tempo, a un mondo che vive nei sogni. Nelle sue opere Serpetti non fa mai riferimento ad accadimenti storici coevi, ma illustrando un mondo onirico in bianco e nero esce fuori dal tempo, proiettandosi in una realtà trascendente. Una realtà fatta di sogni.
Nella sua produzione è facile scorgere derivazioni dagli artisti che negli anni della formazione (presso l’Istituto d’Arte e l’Accademia di Belle Arti) deve aver apprezzato maggiormente: Giovan Battista Piranesi (per ciò che concerne la riproduzione delle architetture), Heinrich Füssli e William Blake (per la rappresentazione di incubi e disperazione), Maurits Cornelis Escher (per la rappresentazione di paesaggi antropomorfi). E poi ci sono le tematiche surrealiste declinate alla maniera di Alberto Martini, e il simbolismo di cui i personaggi e gli oggetti che ricorrono nelle sue opere si fanno portatori.
Le opere del ciclo “Vedute di scena”, fulcro di due sue personali tenutesi nel 2010 presso il Museo Etruscopolis di Tarquinia, mostrano bene il suo amore per la classicità. Queste opere ci confermano, da un lato, la sua formazione (il Diploma in Scenografia ottenuto col massimo dei voti all’Accademia di Belle Arti di Roma) e, dall’altro, la sua appartenenza come artista a un mondo “altro”, lontano nel tempo. La cultura classica per l’appunto.
Questo suo primo ciclo infatti altro non è che una serie di Capricci.
Molto in voga nel Seicento e nel Settecento, questo genere artistico è una combinazione fantasiosa di paesaggi rurali con elementi architettonici (reali o elaborati ex novo dall’artista) dal sapore antico. Questa commistione è presente anche nelle sue opere L’anima nascosta della notte, risalente al 2016 e facente parte del ciclo “L’arte del sogno”, ed Eclissi misterica, dalla raccolta “Notturni arcani”, dell’anno successivo.
La prima opera è il non plus ultra del Capriccio. In uno scenario bucolico estremamente inquietante, sulla destra, si affacciano i resti di un tempio circolare che ricorda i templi di Vesta di Tivoli e Roma.
Al centro della scena domina invece un’architettura imponente e teatrale, i cui pilastri decorati a grottesche (l’antico) conducono il nostro sguardo verso due ignudi maschili che sorreggono un’ulteriore quinta scenica (e che ci riportano sia a Michelangelo, sia ai reggi mensola diffusi nei palazzi in stile Liberty). Questa quinta architettonica si apre su due “quadri nel quadro”. La prima apertura è un ritratto di un volto femminile di profilo i cui occhi sono nascosti dall’acconciatura e che ricorda le fotografie di Man Ray. La seconda è la copia anamorfica di un dipinto di Trophime Bigot, l’Allegoria della Vanità, risalente al 1630. Il suolo ha invece le fattezze di volti di spaventati, c’è il torso nudo di un uomo giacente a terra che sta prendendo le forme di un albero così come il corpo di una donna poco distante. Un mito di Apollo e Dafne che da favola diventa incubo fra le mani inquiete di Alessio Serpetti.

Eclissi misterica ci mostra ancora figure umane che alla luce della luna trasformano i loro corpi di carne in tronchi, rami e radici sempre accompagnati da rovine architettoniche sullo sfondo.

Opere come Il crepuscolo della ragione (2014) sono una citazione dal passato: Füssli e Goya, Ingres, l’antico, il surrealismo di Dalì, Gustave Moreau, Man Ray. Alla vista tutto è piacevole. Però qualcosa sfugge all’osservatore: il significato o contenuto dell’immagine è inattingibile.

Notti illuminate dalla luna, donne misteriose e sofferenti, candele, specchi, sguardi negati, maschere. Questi sono i soggetti che Alessio Serpetti predilige per le sue opere. Immagini che per l’artista avranno simbolicamente valore, ma il cui contenuto all’osservatore non arriva. Probabilmente perché non è un contenuto narrabile che Alessio Serpetti ricerca. Queste visioni sono a metà fra la metafisica e il surrealismo, ambientate in un luogo lontano, in un tempo che non è oggi, ma potrebbe essere ieri così come domani. Illustrano situazioni che vivono solo nell’immaginazione e nel sogno, dove tutto è lasciato in sospeso e attende di essere rivelato. Sono sogni tormentati dai quali bisogna svegliarsi per non cadere nell’angoscia. Serpetti ha talento nel convogliare gli insegnamenti di De Chirico, Gustave Moreau, i preraffaelliti e i surrealisti.
Grazie alla sua conoscenza della storia dell’arte Alessio Serpetti, attraverso le eleganti forme che crea, comunica non contenuti, bensì emozioni. Il senso di smarrimento, disagio, frustrazione e angoscia che ci colgono nella notte, quando siamo più fragili, sono ben rappresentate in tutte le sue opere.
In queste settimane Alessio Serpetti sta partecipando con delle sue incisioni a due mostre temporanee. Dal 26 gennaio al 31 marzo la sua opera Il Silenzio incontra la Meditazione è esposta alla Galeria Municipal de Vieira de Leiria a Marinha Grande (in Portogallo) per L’International Surrealism Now 2019 – Esposizione Internazionale di Arte Surrealista Contemporanea. Mentre dal 15 al 26 febbraio il Maschio Angioino di Napoli allestirà la mostra Metamorfosi Creative in cui saranno presenti le opere Echi di armonie perdute e Eclissi misterica.
Francesca Blasi