Pudende sotto processo. Il caso Pasja di Dorota Nieznalska
Quarto appuntamento con «Arte a nudo (Tranquilli! Niente di scandaloso)». Questa volta mi soffermerò su un caso contemporaneo di censura che ha come scenario la Polonia e come oggetto l’opera di una giovane artista. Un pene al centro di una croce ha condotto Dorota Nieznalska davanti a un tribunale con l’accusa di blasfemia…
Nel 2002 l’albero dei falli nella Fonte Nova di Massa Marittima, del quale abbiamo trattato l’ultima volta, tornava alla luce dopo secoli di oblio, rivelando così uno dei molti aspetti del complesso universo simbolico del fallo in epoca medievale. Nello stesso anno, nella città polacca di Danzica (Gdansk), un’opera dell’artista Dorota Nieznalska (nata nel 1973) veniva invece denunciata alle autorità locali con l’accusa di aver infranto l’articolo 196 del codice penale polacco.
L’istallazione – dal titolo Pasja (Passione) – era stata esposta, senza sollevare grande scalpore, tra il dicembre 2001 e il gennaio 2002 nella Wyspa Gallery, legata all’Accademia di Belle Arti di Danzica. La mostra era ormai chiusa e l’opera imballata per essere trasferita altrove, quando un gruppo di persone entrò improvvisamente nella galleria protestando, allarmati da alcuni giornali che avevano iniziato a richiamare l’attenzione sull’esposizione. Si trattava di membri di alcuni movimenti cattolici polacchi conservatori: la Lega per le famiglie polacche (LPR) e l’associazione delle Gioventù Pan-polacche.
L’istallazione sotto accusa presentava una scatola luminosa in acciaio a forma di croce greca con all’interno una fotografia di un pene non in erezione. La croce era appesa al soffitto e sospesa a mezz’aria, rievocando un certo modo di esporre i crocifissi. Dietro era proiettato un video che mostra il volto ravvicinato di un culturista che si sta sottoponendo a faticosi allenamenti fisici.
L’accostamento del membro maschile alla croce fu interpretato da alcuni come un atto blasfemo e offensivo, punibile dal codice penale polacco fino ai due anni di reclusione.
La faccenda divenne un caso mediatico, alimentato dai giornali, dai mass media e da internet. L’artista divenne vittima di insulti a sfondo misogino e anti-semita. Fece seguito un processo e il 18 luglio del 2003 Nieznalska fu condannata a sei mesi di reclusione e lavori socialmente utili per vilipendio della religione.
Molte furono le proteste, in senso opposto, e la condanna fu definita come un caso di censura che infrangeva la libertà di espressione e la laicità dello Stato (appena un anno dopo la Polonia entrò ufficialmente nell’Unione Europea). Nel 2009 l’artista ha poi fatto appello ed è stata assolta, sebbene la questione non sia ancora giunta a conclusione per l’ulteriore ricorso fatto dal Procuratore…
Certamente non sono mancati in passato e in tempi recenti atti di censura verso opere d’arte contemporanea accusate di blasfemia. Il Piss Christ di Andres Serrano (1987) suscitò un dibattito parlamentare negli Stati Uniti dopo la sua esposizione nel 1989. Nel 2011, una marcia di protesta ebbe luogo ad Avignone, dove l’opera era esposta per una mostra e dove fu addirittura vittima di un’azione vandalica.
Anche in Polonia vi sono stati importanti precedenti. Già nel 1999 Katarzyna Kozyra fu costretta a ritirare il suo progetto dal titolo Wiezi krwi (Legami di sangue): una serie di cartelloni pubblicitari che mostravano donne nude associate a simboli come una croce rossa e una mezza luna rossa. L’artista evocava così la violenza della guerra in Kosovo, riferendosi alla contrapposizione tra cristiani e musulmani, sebbene il simbolismo fosse volutamente ambiguo in quanto rimandava anche alla Croce rossa e alla Mezza luna rossa, che prestavano soccorso alle vittime. La nudità delle donne, associato ai due simboli, valsero all’artista l’accusa di oltraggio e le immagini furono rimosse.
Come Kozyra, anche Nieznalska si è interessata – fin dalle sue prime opere (come Modus Operandi o Onnipresenza) – alle questioni legate ai pregiudizi e stereotipi di genere, al sessismo, all’omofobia, alla mascolinità e alla violenza. Le sue istallazioni rimandano ad una tradizione artistica di riflessione sul corpo – sviluppata soprattutto dagli anni Sessanta con i primi passi della riflessione femminista – che in Polonia ha acquisito maggiore rilevanza e radicalità soprattutto negli anni Novanta, con la fine del blocco sovietico e l’apertura all’arte angloamericana. Se in precedenza Nieznalska aveva riflettuto soprattutto sulla donna come oggetto di violenza da parte degli uomini, con la sua opera del 2001 aveva invece rivolto la propria attenzione alla violenza degli uomini su loro stessi.
L’opera è una denuncia dell’ossessione maschile per il corpo, per la forza fisica e la virilità; aspetti che hanno assunto il carattere di un vero e proprio “culto” della mascolinità. L’ideale della forza e della violenza (e della guerra) contrasta così con il significato della croce, associata invece all’umiliazione del corpo di Cristo. La contrapposizione è ben messa in luce nel video, dove il culturista si sottopone ad una sorta di umiliazione sadomasochista, un martirio auto-inflitto per inseguire un fittizio modello di machismo. L’opera poteva contenere molte altre associazioni (tra cui una denuncia del patriarcato della chiesa cattolica) ma non era questo il significato principale che è dunque molto lontano dalle accuse di blasfemia che gli furono rivolte. Come ha ben sottolineato la stessa artista durante il suo processo:
Pasja è una critica a un certo modello culturale di mascolinità, una certa forma di comportamento diffuso tra i giovani maschi, indotti a violentare loro stessi, torturando i loro corpi […] E’ alla sofferenza del corpo maschile che alludevo nell’immagine della croce.
Nessuno di questi chiarimenti ha però avuto l’effetto desiderato. La Polonia d’inizia millennio è un campo di battaglia di movimenti sociali e culturali diversi e in opposizione. Da un lato i movimenti cattolici, legati al ruolo che la Chiesa assunse nel processo d’indipendenza e opposizione alla Russia socialista. Dall’altro invece l’anima più laica e liberale e progressista del paese. Contraddizioni che emergono fortemente proprio davanti alle questioni legate alla sessualità (l’ultima legge per l’aborto è addirittura più restrittiva di quella precedente).
In questa situazione un’opere d’arte che affrontano apertamente tematiche legate alla discriminazione di genere possono trasformarsi (ancora) in bombe a orologeria, detonate dai mass media. Difficile dire se ciò che turba veramente gli spettatori polacchi sia l’utilizzo “improprio” dei simboli religiosi o, forse, quella esposizione pubblica e fastidiosa del fallo o della nudità femminile che sembra invece ricordare la rete sottile – spesso mascherata – di rapporti che legano le pratiche del corpo e della sessualità agli altri aspetti della vita e del pensiero, della politica e della società.
Daniele Di Cola