Quando ce n’è per tutti! Trionfi fallici (e politici) nella Fonte “Nova” di Massa Marittima

Quando ce n’è per tutti! Trionfi fallici (e politici) nella Fonte “Nova” di Massa Marittima

Nel 2000 una pittura murale del Duecento torna improvvisamente alla luce a Massa Marittima (Grosseto). Al centro un grande albero che produce strani frutti … grossi peni in erezione!

Cosa ci fa questa immagine, poco convenzionale, nella più grande fonte pubblica della città, simbolo dei successi politici del partito ghibellino?

Anno 1265. Massa Marittima è un libero comune. Nel 1225 viene istituita una repubblica che – tra tumulti e scontri interni – sopravvivrà fino al 1335, anno della conquistata da parte dei senesi.

La fazione filo-ghibellina è al potere quando il governatore Ildibrando Malcondine da Pisa fa costruire una fonte (come ben ricorda l’iscrizione in facciata). La città aveva già una fontana, detta della Bufalona, collocata, come in molti altri borghi toscani, fuori dalle mura.

I ghibellini avevano raggiunto un importante traguardo per la comunità: una fonte nel cuore della città, non lontana dalla Cattedrale e dal Palazzo del Podestà.

La fonte sarà ribattezzata “Nova”; successivamente vi sarà aggiunto un piano superiore, adibito a deposito del grano, che gli darà il nome di Palazzo dell’Abbondanza, da qui poi “Fonte dell’Abbondanza”.

La fonte rimase in uso per secoli. Poi fu abbandonata, pavimentata, trasformata in parcheggio.

Quando si decise di ripristinarne le vasche, ecco la sorpresa! Sulla parete della prima campata di sinistra emersero tracce di pittura a secco che svelarono con il restauro una grande pittura parietale (larga 6 metri e alta 5 circa) dal soggetto quasi privo di confronti.

Al centro è rappresentato un grande albero, con rami carichi di foglie e di frutti … o meglio di circa venticinque falli, rappresentati con incredibile vivacità: in erezione e con tanto di sacca scrotale.

La rappresentazione fa pensare subito alla tradizione greco-romana ed etrusca, al culto di Priapo e ai feticci itifallici: oggetti apotropaici portatori di fertilità e spesso offerti nei santuari (abbiamo già fatto cenno a questa tradizione qualche tempo fa parlando degli affreschi di Villa Farnesina a Roma).

Inoltre l’accostamento del fallo con le fonti d’acqua non era raro in Toscana. Alcune fontane – a Poggibonsi, San Gimignano e Siena – presentano falli dipinti o scolpiti. Nella stessa Fonte Nova alcuni capitelli sono ornati da peni e vulve. L’antico simbolismo della fertilità, associato agli organi genitali e alle fonti d’acqua, sopravviveva dunque ancora nella Toscana medievale.

L’albero “dei peni” è invece un’iconografia meno consueta.

La ritroviamo in un manoscritto della metà del XIV secolo del Roman de la Rose (Paris, Bibliothèque Nationale) dove una suora raccoglie falli da un albero. Un albero dei falli si trova anche nel castello di Moos ad Appiano (Bolzano).

Si tratta però in entrambi i casi di immagini private e non pubbliche; inoltre il dipinto di Massa Marittima mostra ulteriori elementi, rendendone l’interpretazione più complessa.

L’albero divide due scene. A destra vi sono quattro donne, vestite di colori diversi, che dialogano pacificamente. Sopra di loro svolazza un uccello nero, forse un’aquila. A sinistra la scena è diversa. Le stesse figure femminili sono in piena guerriglia.

Due donne si tirano i capelli per accaparrarsi un pene e una brocca d’acqua.

Più a sinistra vi sono altre due donne (la terza è danneggiata, come molti dettagli della pittura).

Una donna con un bastone cerca di raggiungere un ramo dell’albero, forse vuole prendere uno dei peni (ma nel dettaglio si vedono anche due piccoli uccellini, forse in un nido).

L’altra fa scorgere un pene dietro alle sue spalle. Forse lo sta nascondendo alle sue compagne, o forse vuole alludere alla penetrazione anale. Sopra di loro non abbiamo una sola aquila ma ben quattro, in preda a un volo agitato.

Le aquile sono simboli del partito ghibellino e ciò lascia ipotizzare che la pittura fu realizzato insieme alla fontana.

Dunque un omaggio all’abbondanza portata con la realizzazione della fonte? Ma cosa dire della scena caotica e di disaccordo a sinistra?

Ecco allora due diverse interpretazioni.George Ferzoco ipotizza che il dipinto sia di carattere “diffamatorio”, contro i ghibellini. Sarebbe stato realizzato quando i guelfi presero il potere (ciò avvenne, solo con brevi interruzioni, dal 1267 al 1335). Ferzoco associa infatti i membri maschili “distaccati” alla stregoneria.

Nel manuale dei “cacciatori di streghe”, il Malleus Maleficarum (1487), si parla del potere delle streghe di rimuovere il pene maschile dal corpo e d’impiegarlo per

sortilegi vari. I ghibellini sarebbero associati così al diavolo, al disordine, alla corruzione e alla perversione. In tal senso Ferzoco interpreta il pene nascosto dietro le spalle di una delle figure come rimando alla sodomia.

Questa interpretazione non tiene però conto del lato destro del dipinto (quello pacifico) e del rapporto tra i peni, la fertilità e la fontana. Più convincente in questo senso è invece un’altra lettura (a me è personalmente nota attraverso Maurizio Bernardelli Curuz).

Le due scene mostrerebbero gli effetti del buono e del cattivo governo dei ghibellini e il raggiungimento della pace pubblica grazie alla costruzione della fontana; in tal senso direi quasi una anticipazione delle allegorie senesi di Ambrogio Lorenzetti.

A destra la cittadinanza – rappresentata dalle donne che usano la fonte – è in disaccordo: tutti si contendono le risorse (i peni, l’acqua) non sufficienti per tutti. I ghibellini sono divisi, ecco allora il proliferare delle aquile.

Ma con la realizzazione della fontana non vi sono più problemi: abbondanza per tutti!

A destra regna la pace e tutti i cittadini sono riuniti sotto un’unica aquila ghibellina. L’unità politica e civile è ritrovata.

Che si tratti di un manifesto politico, o di una pittura diffamante, l’affresco di Massa Marittima merita ancora molta attenzione. Ci ricorda che in epoche passate il sesso ha ricoperto nello spazio pubblico significati simbolici diversi (anche politici) tutt’altro che privati ma ampiamente condivisi.

Fu sufficiente un mutamento culturale per rendere ciò che prima era esposto, inopportuno e osceno, da consegnare all’oblio della storia che – almeno questa volta – non è stato irreversibile.

Daniele Di Cola

Daniele Di Cola è storico dell'arte e dottorando presso l’università di Roma La Sapienza. Si è laureato in storia dell’arte nella stessa università nel 2014. I suoi interessi includono la storia della critica d’arte e le metodologie e teorie della storia dell’arte.

COMMENTA QUESTA DOSE DI CULTURA

Lascia un commento!
Inserisci il tuo nome qui