Nuovo allestimento GNAM. Un incontro alla Sapienza per rimettere in moto il pensiero
A due mesi dall’inaugurazione di Time is Out of Joint – il nuovo allestimento/mostra della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (ora semplicemente La Galleria Nazionale) – il dibattito sulle radicali scelte curatoriali della nuova direttrice Cristiana Collu è tutt’altro che concluso.
L’allestimento, che coinvolge l’intero museo ma pensato come una mostra che durerà fino al 15 aprile 2018, ha fatto discutere soprattutto per l’abolizione del tradizionale ordinamento cronologico, presentando le opere secondo accostamenti eterogenei.
Di questo e altri aspetti si è discusso nell’incontro pubblico tenuto mercoledì 14 dicembre al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università La Sapienza, organizzato dai docenti Ilaria Schiaffini e Claudio Zambianchi, ex-membro del comitato scientifico della GNAM, dal quale si è dimesso – insieme alla prof.ssa Jolanda Nigro Covre – per manifestare il suo dissenso.
Gli interventi hanno visto alternarsi: Tiziana D’Acchille (direttrice dell’Accademia di Belle Arti di Roma), Cristiana Perrella (curatrice e critica d’arte), di Antonella Sbrilli (docente di Storia dell’arte contemporanea, Sapienza), Claudio Gamba (docente di storia dell’arte, Accademia di Belle Arti di Sassari), Lida Branchesi (docente di Didattica del museo e del territorio, Sapienza Università di Roma) e Irene Baldriga (presidente dell’Associazione Nazionale Insegnanti di Storia dell’Arte). Numeroso il pubblico, intervenuto attivamente nel dibattito conclusivo.

Tra stroncature forti e interpretazioni più positive, l’incontro ha mostrato le molte sfumature del problema, con il “distacco della ricerca” e senza necessità di assumere una posizione netta o programmatica.
Attraverso il confronto tra le diverse reazione, si sono toccate alcune delle questioni fondamentali sollevate dalle scelte non convenzionali di Cristiana Collu, restituendo in modo efficace una mappatura dell’attuale dibattito critico che ripropongo attraverso quattro punti.
Spazi luminosi e accoglienti… ma opere a rischio.
Positivamente è stato valutato da Perrella l’intervento sull’edificio della GNAM. Sarebbe stata restituita semplicità, purezza e monumentalità all’edificio di Cesare Bazzani; le sale, dominate dal bianco, danno luce e respiro alle opere, favorendone la visione con un effetto piacevole.
Ma, secondo D’Acchille, la scelta di eliminare dall’ingresso del museo la grande opera Passi di Alfredo Pirri (un emblema del precedente allestimento), oggi sostituita con un tappeto d’epoca, avrebbe reso l’ambiente “sottotono”; sebbene per Branchesi si sia così venuto a creare uno spazio aperto a tutti, dove è possibile sedersi e incontrarsi.
La scelta di eliminare molte barriere favorisce il confronto con le opere ma, come sottolineato da Gamba, pone importanti problemi conservativi. Le sculture in cera Medardo Rosso sono senza teche.
Alcune piccole sculture e bozzetti sono esposti, quasi a presa diretta, su un tavolo. La luce è troppo forte per i disegni. Totalmente decontestualizzate le sculture di divinità della serie Torlonia, una volta esposte insieme all’Ercole e Lica di Canova, ora sparse nel museo senza basamento, usate in modo libero, a volte rivolte allo spettatore, a volte verso i dipinti.
L’atto curatoriale rischia così di assumere un valore superiore alla conservazione e alla fruizione, trasformando l’allestimento nella vera opera d’arte.

Nuovi percorsi per lo sguardo… ma poco spazio per la storia del museo.
La scelta di ridurre il numero di opere d’arte esposte, spostandone molte nei magazzini, ha comportato una selezione che ha escluso importanti capolavori o la produzione d’interi artisti.
Contemporaneamente Collu si è avvalsa invece del prestito di un numero rilevante di opere contemporanee proveniente da gallerie private. In vari interventi, come quello di D’Acchille e Gamba, si è sottolineato come queste scelte non abbiano tenuto conto del ruolo istituzionale del museo, delle peculiarità della sua collezione e della sua stratificazione storica. Un museo parla anche della sua collezione, ha sottolineato Zambianchi.
Ad essere estremamente penalizzato è soprattutto l’Ottocento che costituiva uno dei nuclei centrali della GNAM, ora sottorappresentato. Come ha affermato Branchesi il nuovo allestimento anima il dibattito e la curiosità, evitando così che il museo “musealizzi sé stesso”, che si concentri solo sulla sua storia invece che sulla possibilità di darne nuove letture.
D’altronde, ha puntualizzato, ciò non può avvenire facendo scomparire intere parti essenziali della storia culturale e artistica nazionale.
I tempi della storia dell’arte vanno ripensati… ma con criterio.
La possibilità di scardinare l’ordine cronologico tradizione (da manuale) non è un tabù.
È ormai da quasi Cinquant’anni che tra gli storici dell’arte si continua a riflettere sulla fine della storia lineare dell’arte, sulla crisi delle idee di “progresso” ed “evoluzione”, e molte porte sono state aperte sulle questioni dell’anacronismo e delle molteplici temporalità dell’arte e dell’esperienza dello spettatore (non sono totalmente sconosciuti al pubblico italiano autori come G. Kubler, H. Belting, G. Didi-Huberman, D. Freedberg, solo per citarne alcuni).
La messa in discussione della cronologia è dunque un’importante risorsa. Il nuovo ordinamento, a detta di Sbrilli, scardina ad esempio molti preconcetti occidentali che guidano la nostra esperienza spaziale, invitando inoltre a cercare nuovi termini di descrizione e narrazione verbale.
Ad essere oggetto di obiezioni, per D’Acchille e Gamba, è il fatto di aver applicato questa sperimentazione all’intero museo e non solo ad alcune sale. Anche chi non ha rimpianto l’ordine cronologico, ha comunque messo in luce come gli accostamenti delle opere non siano sempre all’altezza delle premesse critiche (Perrella).
Alcuni sono banali, superficiali o poco curati (D’Acchille, Branchesi); altri così sofisticati da non essere facilmente comprensibili (Baldriga). Secondo Zambianchi i confronti puntano solo all’effetto visivo, ma non sono in grado di generare nuovi significati.

Il museo è di tutti… ma che lo sia nel rispetto di tutti.
L’assenza di apparati didattici lascia libero il visitatore a un’esperienza emozionante, esteticamente esaltante, ma con poco spazio all’approfondimento storico e culturale. Il museo è anche un luogo di diletto, ha ricordato Branchesi, ed è importante attirare maggiormente il pubblico di non specialisti.
Ma l’emozione è sempre un punto di partenza e non di arrivo, ha sottolineato Gamba; la GNAM è ora un luogo dove passeggiare, da attraversare senza sosta (anche perché sono assenti sedie o poltrone), e senza possibilità di approfondimento sulle opere. Gli stessi cartellini sono sintetici e, nota Perrella, non presentano neanche le tecniche e i materiali.
Certo ci possono essere dei vantaggi, come ad esempio lo spingere il visitatore a confrontarsi di più con le opere invece di leggere solo le informazioni riportate.
Ma la scelta provocatoria rischia di essere imposta, senza rispettare i percorsi differenziati che un museo pubblico dovrebbe offrire. Baldriga porta l’esempio dell’impatto sui ragazzi delle scuole superiori: il modo irriverente con cui vengono trattate le opere, sembra connotare l’arte contemporanea come un prodotto bizzarro e libero, suggerendo un’interpretazione banalizzante e totalmente fuorviante.
Senza ulteriori supporti, i confronti rischiano di essere troppo soggettivi e autoreferenziali, ma allo stesso tempo rigidi e vincolanti per il visitatore, hanno evidenziato Gamba e Baldriga. Certamente non è possibile ancora prevedere l’effetto di questa iniziativa sul pubblico e Sbrilli ha invitato a “mettere in pratica” il museo prima di giudicarne i risultati.
L’incontro del MLAC, con le sue voci diversificate, ha risposto alle radicalizzazioni ideologiche: sia contro le nette chiusure prescrittive, sia contro un’idea d’innovazione che – se fatta senza dialogo – sembra voler solo smantellare una lunga tradizione intellettuale.
Daniele Di Cola