Franca Maranò è la protagonista della retrospettiva curata da Christine Farese Sperken in collaborazione con l’Associazione Culturale Achrome (Nicola Zito, Liliana Tangorra, Vania di Lauro) presso la Galleria Misia Arte.
I suoi lavori impreziosiscono la sobria eleganza dei locali dello spazio espositivo sito nel cuore del centro barese in via Putignani. Qui numerose sono ancora le attività dedite alla vendita e al recupero dell’antiquariato. Si riscopre un passato recente che attraverso l’arte racconta il veemente progresso antropologico degli ultimi anni del’900.
Al vernissage avvenuto giovedì 26 Ottobre, sono intervenuti il critico d’arte Pietro Marino, la curatrice C.F. Sperken docente presso la Cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università Aldo Moro di Bari. Ancora presenti: l’Assessore alla Cultura Silvio Maselli e il presidente del futuro Polo per l’arte e la cultura contemporanea di Bari Massimo Torrigiani.
Si deduce dai loro sentiti interventi quanto sia irrinunciabile l’omaggio alla poliedrica personalità e capacità dell’artista barese (classe 1920) mancata solo due anni fa. Interprete sensibile e appassionata difatti di un “secolo breve” ma tormentato da radicali trasformazioni quale il ‘900. Sono diverse dunque le fasi che articolano il suo percorso di donna e di artista. Mentre mutano i materiali, i periodi ma il suo originale messaggio permane. L’obiettivo è utilizzare l’esperienza umana come canale di trasmissione per la creatività e l’interiorità. Infatti il gesto dell’artista appare come dono e segnale della propria visione del mondo al pubblico.
Franca Maranò con le sue opere compie un percorso di militanza per e con l’arte.
Molteplici difatti sono le riflessioni che scaturiscono dalle creazioni della Maranò. Emergere in un panorama che vede Bari lontana dai riflettori puntati sulle rivolte culturali che toccano le città d’Italia difatti è un compito difficile e decisivo allo stesso tempo. Portare l’attenzione su temi e realtà che nel meridione sopravvivono radicati e mascherati. Vedi perciò il paradosso gattopardesco della necessità del cambiamento come prerogativa per la stasi.
L’indipendenza e la classicità secondo Pietro Marino convivono nel genio della Maranò.
La consapevolezza del suo ruolo di donna e artista in un momento storico che bruciava le tappe con irruenza e violenza. Lasciando sgomento chi intorpidito è soggiogato dal contesto politico, culturale, sociale dell’Italia perbenista dell’epoca. Di conseguenza molti non riescono ad evolvere la propria natura spirituale ed intellettuale. Occorre infine adeguarsi all’embrionale processo di globalizzazione che immola chi o cosa non abbia le proprietà per inserirsi in un contesto extra: familiare, provinciale, nazionale.
La disgregazione civile che porterà agli “Anni di Piombo” vede come contraltare una fioritura culturale. La controcultura e l’arte contemporanea ossigenano il Paese.
Franca Maranò in queste circostanze plasma la sua materia d’espressione. Tra gli anni ’50 – ’60 dunque si affida alla ceramica. Simbolo della tradizione artigianale pugliese quindi supera il confronto generazionale con le tecniche di lavorazione dell’innovativo materiale della plastica. Oltre alla ceramica la mente dinamica dell’artista genera un nuovo utilizzo del supporto della tela, scavata da sottili e irregolari incisioni. I solchi conferiscono forma e tridimensionalità, nuove realtà allora per la pittura. La tela dunque si rivela e infine riemerge dagli itinerari tracciati con la punta metallica nel colore spalmato precedentemente. Ancora la tradizione incontra l’innovazione in una dicotomia che rivela l’essenza e l’essenziale.
Gli anni ’70 -’80 vedranno l’affermarsi del movimento femminista che genera nella Maranò nuove ricerche.
Queste dunque occupano l’artista per un decennio con nuovi metodi ma con quelle stesse esigenze comunicative d’immediatezza e d’immedesimazione. La manifestazione di queste avviene infine attraverso esperienze sensoriali tattili e visive.
I cuciti e gli Abiti MentaliMental
Dal segno dell’incisione in pittura al segno tracciato dal filo. Le tracce lungo l’ordito, sappiamo da Pietro Marino come svelatogli dall’artista, essere parte del vissuto di Franca Maranò. Questo tipo di tessuto era difatti utilizzato dalle suore che tenevano corsi di cucito alle giovani donne e alle bambine. Perciò introvabile, nella sua peculiarità è incontro del sentire sacro nell’austerità e del sentire profano nella memoria di bambina. Mentre il colorante rosso utilizzato per tingere gli Abiti Mentali è il mitico Superiride prodotto dagli ’30 a Prato. La memoria arcaica dei nostri territori perciò si lega ai processi tecnico industriali di respiro nazionale.
Gli Abiti Mentali ricoprono uno specifico segno di “identità comportamentale.”
Citando Franca Maranò. La tecnica del cucito si evolve tra il 1976 e il 1979. Le tele così non sono più dipinte ma sganciate dalle regole comuni ed esposte nude. Sono attraversate da fili colorati di nero, blu, ruggine e approdano infine agli Abiti Mentali.
Il lavoro manuale femminile della tessitura tramanda le immagini legate al focolare, alla sicurezza dei legami familiari. I valori preponderanti nella cultura meridionale.
Qui le creazioni della Maranò nelle vesti di “arte indossata” compongono in assoluto la sperimentazione artistica: colore e forma adeguati a misura d’uomo. L‘Abito Mentale sfugge il tradizionale compito di coprire il corpo ma lo trasforma. Difatti indossandolo non abitualmente ma casualmente diventa performance. La tela dunque non è più inquadrata e immobile come supporto, prende vita mossa dagli arti del corpo. L’artista e l’opera d’arte confluiscono nello spettatore. Le figure geometriche che decorano gli abiti sono basiche. Il minimalismo li libera da quel valore di ornamento che è annullato. Perciò la funzione dell’opera è universale, una sorta di grembiule che per il breve tempo in cui è posseduto, accomuna gli uomini. Così s’infrangono le diversità di sesso, livello sociale e cultura.
Sempre negli anni ’70 Franca Maranò rende partecipe dei suoi lavori l’alluminio.
Gli allumini sono applicati in lamine. Esautorati dunque della loro apparente entità come materia del progresso e della produzione industriale. Scevri pertanto dalla negatività dell’alienazione del lavoro in fabbrica. L’alluminio diventa supporto per manifestare l’immagine. Questa si presenta allora come prodotto del sensibile e dell’attualità.
È doveroso ricordare il ruolo di Franca Maranò come promotrice dell’arte contemporanea nel territorio pugliese con l’istituzione a Bari nel 1970 della Galleria Centrosei.
Sorge in un’ala del Teatro Petruzzelli grazie al sodalizio fra i sei artisti: Umberto Baldassarre, Mimmo Conenna, Sergio Da Molin, Franca Maranò, Michele Depalma, Vitantonio Russo. Il merito dell’artista, coadiuvata dal marito Nicola De Benedictis, è quello di aver promosso per primi a Bari le novità dell’arte contemporanea. Difatti è nel 1971 in un secondo momento che viene fondata la più famosa Galleria Bonomo da Marilena e Lorenzo Bonomo. Per il processo di sprovincializzazione di Bari quindi l’operato delle due gallerie è vitale. La città dunque si annovera come nuovo porto per il panorama artistico contemporaneo nazionale e internazionale.
Tanti i nomi degli artisti proposti in due decenni dalla Galleria Centrosei. Si ricordano: Sol Lewitt, Mimmo Paladino, Luigi Ontani, Joseph Beuys, Giuseppe Capogrossi, Michele Zaza, Claes Oldenburg.
Tra i movimenti artistici presenti: la Poesia Visiva, la Land Art, l’Arte Povera, la Body Art, l’Arte Concettuale, l’Astrattismo e la pittura figurativa. Approdano inoltre alla Galleria artiste emergenti che compiono le loro ricerche avendo in seguito l’occasione di promuoverne i risultati. Fra loro: la studiosa femminista Mirella Bentivoglio, la poetessa visiva Tomaso Binga(vero nome Bianca Menna), la scultrice Maria Lai, Lucia Romualdi. Ancora: Adele Plotkin, Elisa Montessori, Ketty La Rocca, Renata Boero, Ada Costa, Fiorella Rizzo, Simona Weller, Marisa Albanese.
L’attività della Centrosei prosegue sino alla chiusura nel 1991, grazie alla dedizione di Nicola De Benedictis. Già dopo pochi anni infatti avviene lo scioglimento del nucleo originario degli artisti. Il difficoltoso compito è adempiuto per amore della consorte e per la missione prefissa dalla Galleria.
Sempre il profondo sentimento per la conoscenza e la trasmissione dell’arte porta in seguito De Benedictis a donare l’archivio completo della Galleria all’Università di Bari(Dipartimento Lelia) nel 2010. Grazie a questo generoso gesto dunque oggi è possibile conseguire alla figura di Franca Maranò il doveroso e dignitoso ricordo che le spetta.
L’impegno con e per l’arte di questa artista è stato totalizzante: distante da fumosi riconoscimenti e falsi miti di popolarità.
“Franca Maranò – La magia delle mani. Linee – Punti – Abiti/Corpo.”
26-10-2017/ 2-12-2017
Galleria Misia Arte.
Via Nicolò Putignani, 153
Lunedì: 13,30 – 20. Martedì-Venerdì: mattina 10 – 13; pomeriggio 16 – 20. Ingresso gratuito.
Marilù Piscopello.