Quando parliamo di Rinascimento italiano siamo soliti attribuire questo nome al grande Brunelleschi per l’architettura e a Donatello per la scultura. In realtà il Rinascimento non è limitato solo a questi artisti.
È un fenomeno molto più complesso e meno compatto di quello che si voglia immaginare. Il Rinascimento è Altro. A raccontarcelo è Enrico Parlato, storico dell’arte e curatore dell’esposizione su Filippo Lippi a Palazzo Barberini, in mostra fino al 18 febbraio 2017.
Ma chi è Filippo Lippi?
In questa epoca di grande sperimentazione si fa strada questo frate carmelitano. Pittore molto amato dalla famiglia Medici che diventa uno degli artisti più attivi a Firenze per quanto riguarda la generazione successiva a quella di Masaccio.
Nel 1917, durante una visita alle chiese di Tarquinia, lo storico dell’arte Pietro Toesca entra nella chiesa di Santa Maria in Valverde. Alza lo sguardo e viene attirato da una tavola centinata. Chiede una scala a pioli, si arrampica e a sua sorpresa identifica un dipinto di Filippo Lippi.
Toesca, grande studioso del Medioevo, ma in quegli anni anche del Quattrocento, su base stilistica e attraverso queste ricognizioni sul territorio, individua la Madonna che noi chiamiamo di Tarquinia. L’opera, datata 1437 non è firmata, ma fin da subito è stata attribuita al frate carmelitano considerando il suo stile inconfondibile.
La scoperta è illustrata in una bacheca posta nella sala adiacente a quella della pala lippesca. Una bacheca che contiene dei documenti che provengono dall’archivio centrale dello stato. Tra i documenti vediamo un telegramma inviato dal direttore del museo di Tarquinia Giuseppe Cultrera a Corrado Ricci, storico dell’arte e Senatore del Regno d’Italia nella XXVI legislatura.
Altro ritrovamento, facente parte dei documenti che testimoniano il recupero dell’opera del Lippi, è una foto scattata o meglio la prima foto scattata della pala fatta propio da Toesca intesa come riproduzione di opera d’arte.
Ma non è tutto.
All’interno del deposito di un convento nella città laziale di Tarquinia viene reperita la cornice dell’opera di cui abbiamo una foto all’interno della stessa bacheca. Una cornice con cuspide gotica che riflette quella che era l’idea di un Rinascimento non convenzionale. La cornice ha avuto una storia molto avventurosa in quanto è stata mandata a Firenze da un restauratore che per mancanza di denaro farà solo un restauro filologico.
Ma la Madonna con il bambino di Lippi come arriva a Tarquinia?
Parlato nel suo catalogo ci racconta di Giovanni Vitelleschi. Un cardinale dalla personalità particolare in quanto fece strage di coloni e rase al suolo Palestrina rubando le reliquie. Ma è propio lui ad essere il committente della Pala di Tarquinia, sua città natale.
Nel 1435 è stato nominato arcivescovo di Firenze quindi con questo ruolo si suppone abbia conosciuto il pittore tanto amato dai Medici. Nel ’37 Vitelleschi decide di tornare nella sua città di origine, portando la pala del Lippi e facendosi edificare un suntuoso palazzo oggi sede del Museo Nazionale Etrusco.
Nella mostra a Palazzo Barberini c’è una piccola sezione che presenta il cardinale, con una predella del pittore umbro di primo quattrocento Bartolomeo da Foligno. A sinistra vi è un oggetto liturgico, una pace dorata che ha una maniglia sul retro; l’officiante la baciava e successivamente la passava ai fedeli come segno di amore. L’oggetto era di proprietà del Vitelleschi, il quale è stato arrestato e ucciso a Castel Sant’Angelo.
Sulla parete della sala espositiva ci sono due iscrizioni, una di Vasari e una dell’umanista del quattrocento Cristoforo Landino.
“Molti dicevano lo spirito di Masaccio essere entrato nel corpo di fra’ Filippo”.
“Fu fra Filippo gratioso et ornato et artificioso sopra modo”.
Le due frasi, che sembrano scollegate tra loro, trovano il punto di incontro proprio nella Madonna di Tarquinia che fa da filo conduttore alla mostra, per capire meglio cosa succedeva nella Firenze di quegli anni. Ci danno lo spunto per analizzare la figura di questo frate pittore che detiene il primato e che diventa dominante nella metà del Quattrocento.
Lo stile severo di Masaccio e il rigore prospettico di Brunelleschi in questo periodo lasciano spazio alla pittura sensuale del Lippi.
E proprio per questi motivi vediamo per la prima volta la proposta di un confronto tra Masaccio e Lippi. Un Masaccio in mostra con il San Paolo del Polittico di Pisa e delle opere giovanili di Lippi come la tavoletta di Empoli.
Un altro confronto è quello con Donatello.
Da una parte la madonna di Tarquinia, dall’altra lo spiritello di Donatello che proviene dalla Cantorìa di Luca della Robbia. Statua reggicero che serviva a fare luce all’organista per legere gli spartiti. Questo spiritello sarà il modello del bambino della Madonna di Tarquinia. Donatello infatti, personaggio eversivo, che stravolge le regole, porta a questo cambiamento nella pittura del carmelitano insieme ad una serie di suoi viaggi documentati.
Un’altra opera, dove vediamo attentamente il cambiamento di rotta nella pittura quattrocentesca è la l’Annunciazione Baberini degli inizi degli anni ’40.
L’idea di uno spazio che si apre a ventaglio, di mettere la madonna in un ambiente casalingo, non c’è oro, luci tenue, mezze ombre.
Non vi è un colore uguale all’altro.
Tutto è in movimento.
Basti guardare la manica dell’angelo annunciante. Tempera coprente ma che con la grande maestria dell’artista crea trasparenze.
Bellezza, sensualità, disegno lineare e ritmo sono gli elementi che ci fanno apprezzare Filippo Lippi come uno dei punti chiave della pittura fiorentina del Quattrocento.