C’era una volta in Giappone… suggestioni e opere d’arte al Museo Poldi Pezzoli

c'era una volta in giappone

C’era una volta in Giappone: l’incredibile viaggio attraverso un’epoca ormai trascorsa e perduta per sempre.

Entrando nel Museo Poldi Pezzoli, a Milano, si ha subito l’impressione di essere ammessi nell’appartamento privato di un nobiluomo milanese del XIX secolo: Gian Giacomo Poldi Pezzoli, appunto (1822-1879).

Uno scalone con una fontana neo barocca ci porta alle sale, dove il collezionista visse fino alla morte, raccogliendo tantissimi tesori. Sono tantissime le opere di pregio che si possono ammirare nelle varie sale del Museo, la Dama del Pollaiolo, opere di Botticelli e di Bellini, Mantegna, Piero della Francesca e Cosmé Tura. La Sala dei Vetri di Murano accoglie circa duecento oggetti in vetro, datati dal XV al XIX secolo. Per non parlare della bellezza della Sala degli Ori, dove si possono ammirare gioielli, smalti e bronzi di differenti epoche.

c'era una volta in giapponeMa il motivo per cui ci siamo avventurati nel Museo Poldi Pezzoli, in una calda giornata di maggio, è un altro: la mostra C’era una volta in Giappone, che raccoglie fotografie e netsuke del XIX secolo. La mostra, aperta dall’11 maggio fino al 31 luglio 2017, accosta due diverse tipologie di opere d’arte giapponesi: una selezione dei netsuke e okimono del Museo Poldi Pezzoli e alcune fotografie – stampe all’albumina colorate a mano da artisti del tempo e collotipi – della Fondazione “Ada Ceschin e Rosanna Pilone” di Zurigo.

Le opere che troviamo nella Sala del Collezionista sono state realizzate tutte da abilissimi artigiani giapponesi in un tempo noto come Periodo Meiji (1868-1912), e mostrano scene di vita quotidiana e paesaggi naturali di un Giappone antico e idilliaco, che ben presto sarà spazzato via dalla modernizzazione e che non esisterà più.

In quel periodo, in Giappone si ebbe un mirabile connubio tra la tecnica fotografica occidentale e la secolare maestria dei pittori locali. Le stampe fotografiche all’albumina erano realizzate ponendo a contatto un foglio di carta trattato con una soluzione di albume d’uovo e sale con un negativo su vetro. L’immagine si trasferiva sulla carta grazie alla luce solare ed era in seguito impreziosita dai colori a pennello aggiunti dai pittori giapponesi. I capolavori che ammiriamo nella mostra dimostrano lo stretto contatto tra i giapponesi e la natura, un rapporto inscindibile che nemmeno la modernizzazione e l’occidentalizzazione sono riuscite a spezzare.

Valeria Martalò

Classe 1989, laureata in Filologia Classica, originaria di Bari, vive dal 2017 a Milano, dove lavora nel mondo dell'editoria e della comunicazione.

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