Lotteria del 6 gennaio? Dosso Dossi docet
La Fortuna e il Caso dal Rinascimento ad oggi, dai quadri alla lotteria, con la nuova rubrica #InfusidArte.
Le feste sono passate da poco, e tra una fetta un po’ secca di panettone, il cestino di noci che non è finito e gli avanzi ormai ben congelati non resta che controllare se siamo stati fortunati.
Mi riferisco a quelli che “almeno un biglietto della lotteria fammelo comprare hai visto mai la fortuna” . Proprio quelli che in questi giorni stanno armeggiando con siti internet e giornali vari. E ovviamente sperano che la dea bendata si sia fatta viva.
Se non avete vinto consolatevi… neanche nel florido Rinascimento italiano la fortuna era più affidabile. Basta guardare lo splendido dipinto di Dosso Dossi “Allegoria della Fortuna” per capire che neanche allora tirava aria di vincite. Realizzato tra il 1535 e il1538 e oggi conservato al Paul Getty Museum di Los Angeles. Puoi vederlo qui.
L’allegoria infatti rappresenta perfettamente le vane speranze del giocatore d’azzardo. I due personaggi rappresentati sono per l’appunto i due lupi in fabula della questione: la Fortuna e il Caso.
La prima, bellissima e totalmente nuda, siede su un fragile ed instabile globo trasparente su cui si intravedono i segni dello zodiaco. Da quella scomoda posizione riesce anche ad alzare un’invitante cornucopia piena di frutta, tutta dotata di significato bene augurante.
Avete notato il melograno e l’uva? Sono proprio gli stessi che si mettono in tavola a capodanno con lo stesso identico scopo: propiziarsi la buona sorte.
Il Caso nel frattempo la guarda fisso e, sembra, anche piuttosto perplesso da tutta la messinscena. Tanto che alza, invece della cornucopia, un bel mazzo di… biglietti della lotteria! Con tanto di vaso dorato da cui si estraevano i numeri vincenti.
Ebbene sì, perché anche all’epoca dei grandi fasti cinquecenteschi si giocava, eccome se si giocava. Ma vista l’interpretazione del Dossi, le sorti non erano molto migliori.
Il messaggio che arriva infatti da questo dipinto è proprio quello di come sia il caso, piuttosto che la fortuna a governare le tanto sospirate vincite al gioco. La Fortuna infatti è seduta su una bolla trasparente che potrebbe rompersi da un momento all’altro mandandola letteralmente a gambe all’aria con tutta la cornucopia. Il drappo inoltre non è solo scenografico ma con quel movimento capriccioso indica quanto la fortuna, più che bendata, sia volubile.
Oggi vinci tu, domani vince lui e tu perdi tutto, una cosa del genere.
Sono passati diversi secoli ma non sembra cambiato proprio niente. Non a caso infatti il pittore ha scelto uno sfondo scuro che non colloca le figure nello spazio reale ma in una dimensione universale e simbolica. Una dimensione ben espressa anche dall’abbigliamento delle due figure: solo due drappi classici e due paia di calzari che fanno subito antica Grecia. Non esattamente alla moda ma efficace.
I personaggi infatti rimandano al mondo ideale dell’allegoria. In poche parole: nessuno penserebbe che sono reali. E questo anche grazie allo stile. Le forme sono ampie e composte, sembrano uscite da un fregio classico più che da un pennello. La superficie pittorica è perfettamente liscia ed uniforme.
Basta guardare l’incarnato dei personaggi per accorgersi di quanto il risultato sia perfetto ma irreale. Questa tecnica in poche parole fa alla pelle delle figure ciò che un fondotinta pesante fa al viso di una donna. Lo rende perfetto ma non autentico. Pare proprio che di questa Fortuna irreale e volubile non ci sia da fidarsi…
Non avete vinto i cinque milioni di euro? Pazienza, non saremo ricchi di denaro ma di patrimonio artistico artistico sì.
Buon inizio d’anno e appuntamento tra due settimane per un altro infuso d’arte!
Chiara Marchesi