Lo stage è un buon inizio, ma non può essere un’esperienza eterna. Crea dipendenza, e nuoce gravemente te e chi ti sta attorno.
È un duro compromesso tra la necessità di imparare e la voglia di lavorare.
Il ripetersi degli stage va sempre oltre le aspettative di ciascun interessato, che pur di lavorare, accetta senza esito.
Lo stage, o per così meglio dire il tirocinio, è un favore. Si, un favore che il mondo del lavoro fa a chi ha l’illusione di voler trovare un impiego, ma finisce con l’accettare uno stage.
Mi spiego meglio, il termine stage, stando a Wikipedia, indica “un’esperienza presso un ente pubblico o privato, di durata molto variabile, allo scopo principale di apprendimento e formazione, generalmente finalizzata nell’ingresso del mercato del lavoro”.
In Italia nel giugno del 1997 è stato introdotto per la prima volta dalla legge n.196 il tirocinio formativo, quello che noi conosciamo oggi come classico stage, eccetto quelle obbligatorie tipiche degli ordini professionali. Secondo la legge lo stage non prevede retribuzione, tantomeno la malattia, le ferie retribuite, la maternità o i congedi. Non è previsto il preavviso per il licenziamento tanto quanto quello per le dimissioni.
È un favore.
Uno stage nel settore umanistico è il brindisi di benvenuto di una lunghissima cena con il mondo del lavoro.
Lo stagista è consapevole di ciò a cosa va incontro nel momento in cui accetta la proposta: ecco in quel momento sta dicendo grazie perché la redazione in questione gli fa un favore, e ne guadagna un aiuto. Ma dopotutto, questo è il senso dello stage! Come dice Marina Osnaghi, prima Master certified coach in Italia: “l’azienda deve curarsi dello stagista, per stabilire un proficuo do tu des”.
Io ti do l’esperienza, tu mi dai una mano. E va bene, condividiamo. Si inizia!
Ricerca di lavoro. Lo stagista ha finito i suoi 3 mesi di stage, ha qualche conoscenza in più, si chiede se saranno così utili da poterle applicare nei futuri contesti lavorativi. Sicuramente si, altrimenti sarebbe solo “do” o “des”. Eppure le offerte sono dei muri altissimi e insormontabili, i mattoni sono le esperienze di tre anni minimo, il filo spinato in alto la retribuzione. Ma dopotutto, tre mesi di stage non retribuito hanno formato lo stagista al sacrificio. E se così non dovesse essere, accetta un altro stage, stavolta di sei mesi.
Ci risiamo, io do, tu des. Grazie, prego!
Ricerca di lavoro. È passato un anno, e lo stagista si è convertito alla religione dello stagenesimo, tre i precetti fondamentali:
- il sacrificio è il tuo dio
- se vivi tre mesi senza soldi puoi anche fare un anno
- ora sai tutto, provare all’Eredità no?
Insomma, lo stagista capisce l’importanza del tirocinio, anche del secondo, persino del terzo.
Dopo però si accorge di non avere una sicurezza tale da renderlo professionale agli occhi delle esigentissime offerte di lavoro. O meglio, qualora ci si senta, sono le stesse offerte che non hanno bisogno di un ex stagista, vogliono un lavoratore! Che sia stato pagato per le sue competenze e che abbia esperienza, sia chiaro.
Lo stagista è automaticamente escluso: non ha una precedente posizione lavorativa che gli permette di contrattare sull’offerta di lavoro tanto meno sull’offerta di prezzo.
In realtà non aveva nemmeno un lavoro, perché secondo la legge lo stage non ha nulla a che vedere con i termini previsti per un lavoro.
Lo stagista, celebrato qualche giorno fa con la giornata mondiale degli stagisti, ha solo ricevuto tanti favori.
“Lo stagista inaspettato” è un film piacevole dove compaiano nomi come quelli di Robert De Niro e Anne Hathway.
Il vedovo Ben, interpretato da De Niro, stanco della pensione, decide di rimettersi in gioco e candidarsi presso un’azienda di e-commerce a New York.
Incoraggiante l’idea della start-up creata dalla Hathway che fa grande successo, così come lo stagista settantenne.
Come se lo stage fosse una possibilità di riscatto dopo anni dedicati al lavoro, una seconda chance senza impegno e senza stipendio.
Anche in Italia è così, ma ciò che viene sempre più offerto senza impegno e senza stipendio è il lavoro, mentre lo stage un’esperienza da cui uscire il prima possibile come se ci avessimo messo corpo ed anima, ma senza i contributi previdenziali.
Ogni singola esperienza di stage vale come se fosse la prima volta, e l’impegno, la trepidazione, la paura, la voglia di far bella figura, di fare vedere che si sta lì non per i soldi ma per la passione che si prova, hanno un prezzo. Non subito, ma almeno in futuro.
Lo stagista, dunque, vuole lavorare per far sì che anche lui, come De Niro, possa ritrovarsi in vecchiaia annoiato e in pensione. Ma attenzione, non sarà uno stage ad occupare la sua vita da settantenne. Se e quando troverà un impiego, probabile che a settant’anni ancora lavorerà.
Irene Mancuso
Vignetta di Cyndi Barbero tratta da Io, laureata, motivata…sfruttata…In stage!