La nuova imperdibile miniserie Netflix è dedicata al celebre stilista Halston, interpretato da un meraviglioso Ewan McGregor.
Dal libro al film
I 5 episodi, dalla durata di 50 minuti l’uno, sono un adattamento del libro Simply Halston di Steven Gaines del 1991, che ripercorre in modo romanzato la vita e la carriera di questo grande creativo. Halston è stata ferocemente attaccata dai familiari dello stilista, visto che non si basa sugli archivi del personaggio ma su aneddoti e racconti di terzi. Nonostante questo, è una godibilissima mini serie, un tuffo a bomba nel ventennio 1960/1980, un periodo davvero glam in cui vivere.
Halston è stato senza dubbio il fautore del giro di boa della moda americana. Antagonista di Ralph Lauren e De La Renta, è stato lui ad anticipare il cruciale passaggio dalle boutique ai grandi magazzini, gli investimenti nella moda delle grandi holding finanziarie dell’epoca, lo switch da alta moda/artigianalità a prêt-à-porter/abiti in serie per tutte le donne.
Ha fatto per primo cose che ora è normale fare per uno stilista, ma forse era troppo presto, e la seconda parte della sua carriera l’ha vissuta da incompreso.
La parabola di Halston inizia nell’infanzia, dove lui, enfant prodige dello styling, crea bellissimi cappelli per la mamma. Sensibile e incompreso dal padre, si trasferisce a New York per lavorare come modista di cappelli. Mettendosi poi in proprio per esprimere al meglio la sua vena artistica, nell’arco di un decennio raggiungerà l’apice della fama e cavalcherà gli anni spericolati dello Studio 54, della cocaina, della factory di Andy Warhol, delle follie di Liza Minnelli, di Bianca e Mick Jagger.
Trailer
I miei 5 motivi per vedere Halston
1. Conoscere un’icona americana. Abbastanza sconosciuto in Europa ai non addetti ai lavori, è uno degli stilisti che ha cambiato volto e stile all’America. Il famoso cappellino a tamburo che Jackie Kennedy indossa il giorno dell’insediamento del marito, per esempio, è una sua creazione, quando ancora lavorava come modista da Bergdorf.
2. Riconoscere il genio dietro a un’idea. Alcune cose nella moda cambiano gradualmente, altre in pochi secondi. Un guizzo, un lampo di genio, una sforbiciata troppo in su, un tentativo di tintura nella cucina di casa diventano paradigmi per le generazioni successive. Halston utilizza il batik e l’ultrasuede, un tipo di suede che, pur bagnandosi, non si macchia. Due enormi cambiamenti, uno estetico e l’altro tecnologico, che nella serie vengono giustamente sottolineati.
3. Vedere da vicino la vita da star. L’estetica, la moda, il lusso sfrenato, le droghe, il baratro. Si ripropone in chiave glam un binomio già visto. La creatività manda il cervello di Halston in overwhelming, e per stare dietro a tutto, lo stilista inizia a drogarsi. Se all’inizio le frequentazioni spericolate lo aiutano a interpretare il mondo che cambia, alla fine quella vita lo scollerà da se stesso.
4. Capire il business della moda. Dagli anni 60 fino a Il diavolo veste Prada, la moda vive di sottilissimi equilibri e compromessi. Un esempio? Quando Halston si lancia nel business dei profumi, vuole una bottiglia di vetro con un tappo speciale, realizzabile solo a mano. Intorno alla questione si schierano le due parti: l’arte lo vuole artigianale, unico, prezioso, perché solo così ha senso. Il profitto lo vuole fatto in serie, perché così è più comodo, e soprattutto economico. Quanti brand, quanti stilisti, per poter continuare ad esistere vendono il loro marchio o il loro nome in virtù di un profitto? Dov’è il confine tra continuare a creare liberamente e pagare le bollette?
5. Sognare di indossare un Halston. Un abito di alta moda firmato da Halston è una favola. Vedere i tessuti, la sinuosità delle linee, la grazia della sartorialità è un sogno, ma sta per diventare realtà. Grazie ad una singolare iniziativa di marketing, l’attuale direttore creativo di Halston, Roberto Rodrguez, ha lavorato a strettissimo contatto con la costumista Jeriana San Juan, e ha creato una capsule collection che sarà acquistabile online e in pre-order dal 7 giugno sul sito del brand.
Micaela Paciotti