Ed ecco che questa serie è riuscita a farmi venir voglia di mettere le mani addosso a Jimmy, incredibilmente.
Apro la recensione in maniera quasi identica, cambiando qualche addendo, a quella della scorsa settimana. Perché gli episodi in questione sono quasi gemelli, diretta continuazione e conseguenza l’uno dell’altro, e molte parole già spese potrebbero essere usate anche ora. A cominciare dai vari discorsi su Kim, naturalmente.
Se già, come detto, era lei sempre più la protagonista silenziosa della serie, adesso la serie stessa se ne è finalmente accorta. Se le conseguenze emotive e pratiche delle sue scelte iniziavano a presentare il conto e il loro peso, adesso esplodono definitivamente. E confermano non solo quanto Jimmy sia sempre più un pallido ricordo che ha lasciato spazio quasi definitivamente a Saul. Ma soprattutto che la stessa Kim è in piena trasformazione, e gli ultimi rimasugli etici sono come un naufrago che si aggrappa ad uno scoglio.
Kim è quella che si accorge di aver sbagliato, e di continuare a sbagliare, a differenza di Jimmy. Kim si accorge anche delle conseguenze irreparabili delle sue scelte, e quanto danno possa continuare a fare un domino inarrestabile. Ma Kim è pure quella che, sempre volontariamente, decide di abbandonarsi alla marea.
In questo caso, è quasi scontato sottolinearlo, la marea tossica è rappresentata da Jimmy/Saul.
Forse anche lui si accorge di ciò che fa, e di cosa possa succedere dopo. Probabilmente si rende anche conto di quanto ciò possa danneggiare Kim, professionalmente e umanamente. Ma lui, rispetto alla compagna, è già nella fase successiva: nella marea è già annegato da tempo. E a lui, molto semplicemente, sta benissimo così, perché gli piace e addirittura è l’unica cosa che sa veramente fare. Non vi ricorda qualche altro personaggio che, in Breaking Bad, alla fine ammetteva quanto gli piacesse e lo facesse sentire vivo fare cose sbagliate?
Kim e Jimmy sono sulla medesima zattera: in difficoltà, certo, in pieno mare in tempesta, ovviamente, ma a loro sta benissimo così. Non è più solo una storia sulle scelte sbagliate Better Call Saul, ma è ormai un racconto morale sulla dipendenza da tali scelte. Se alla metanfetamina di Breaking Bad sostituiamo il piacere e il divertimento nello sbagliare che vediamo in Better Call Saul, vediamo come Vince Gilligan e soci continuino a raccontare forme di dipendenza eccessiva, esempi di drogati che non possono fare a meno di un qualcosa di fortemente dannoso per vivere, sempre purtroppo consapevolmente.
Vedere questa serie è come quella strana forma di mania che ha la gente quando trova incidenti: si sa che è moralmente reprensibile, ma non si possono distogliere gli occhi.
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Emanuele D’Aniello