Premessa
Callimaco è stato uno dei più importanti scrittori di tutto il mondo antico. E’ stato in grado, appunto, di inaugurare un percorso del tutto originale per la creazione letteraria. Questo irreversibile mutamento consiste soprattutto nel carattere individuale del rapporto tra il poeta e il pubblico. Prima della poetica alessandrina, di cui Callimaco si fa portavoce, la letteratura aveva la pretesa, in forma più o meno esplicita, di insegnare qualcosa al lettore (fine didascalico). Gli Aitia di Callimaco, al contrario, fanno a meno di tutto questo.
Tale evoluzione ha le sue radici in un fattore storico-culturale. Nei grandi regni ellenistici l’uomo non è più chiamato a condividere la responsabilità della vita pubblica: un limite netto che divide i potenti dai sudditi. La poesia di Callimaco si presenta, dunque, come un colloquio tra due individui: il poeta e il lettore. Il suo livello di elaborazione formale è fonte di stimolo continuo per l’attenzione del lettore.
Biografia
Callimaco nasce in un anno imprecisato, verosimilmente tra il 310 e il 300, a Cirene, importante colonia greca sulla costa della Libia. In giovane età costretto a trasferirsi in Alessandria, vive della professione di maestro di scuola. Grazie alla sua fama, viene presto introdotto alla corte di Tolomeo II Filadelfo. Nonstante abbia un incarico nella Biblioteca, non è mai designato a dirigerla. Callimaco diventa il poeta ufficiale della corte. Morto nel 247 il Filadelfo, gli succede il figlio Tolomeo III Evergete, alla cui moglie Callimaco dedica la Chioma di Berenice. Non si conosce l’anno preciso della sua morte.
Aitia
Tra tutte le opere di Callimaco, gli Aitia sono i più famosi. Si tratta di un poema elegiaco, suddiviso in 4 libri. Ma piuttosto che di un poema in senso tradizionale, si dovrebbe parlare di una raccolta organica di elegie, collegate da un comune motivo tematico, oltre che da un tenue motivo conduttore. In effetti, il titolo significa “Cause“, “Origini“. Le singole elegie narrano episodi mitici o eroici, accomunati dal fatto di spiegare la ragione remota di riti, feste, usanze, istituzioni e nomi.
Prologo dei Telchini
«[Da ogni parte] i Telchini pingolano contro il mio canto
– stolti, che non nacquero dalle cari alle Muse –
perché non in un lungo poema i re
ho celebrato in molte migliaia di versi,
o gli eroi d’un tempo, ma dipano un esile carme
come un fanciullo, mentre non pochi sono i miei anni.»
Gli Aitia iniziano con un prologo programmatico che si presenta come manifesto della nuova poetica callimachea. Importante è la critica rivolta ai detrattori dell’opera, i “Telchini”, definiti così in riferimento ai demoni maligni abituati, secondo la tradizione, a sparlare di tutti.
L’insieme dei concetti espressi, peraltro, riassume il sistema estetico della poesia degli Aitia di Callimaco: μέγα βιβλίον μέγα κακόν, “grande libro grande male”. Tale frase, appunto, è un attacco contro la poesia magniloquente (epica), in favore di una nuova forma di poesia, breve ed originale.
Aconzio e Cidippe: una donna desiderata
Un altro episodio molto noto degli Aitia di Callimaco è la storia d’amore tra Aconzio e Cidippe. Il giovane Aconzio si era innamorato, a prima vista, della giovane bella e ritrosa Cidippe. Per ottenerla in moglie, aveva elaborato, su consiglio di Eros, un piano molto astuto: le aveva gettato una mela, su cui era scritto “Lo giuro, per Artemide: sposerò Aconzio“.
La ragazza aveva colto il frutto e letto l’iscrizione, pronunciando, senza volerlo, un irrevocabile giuramento. Il padre l’aveva destinata ad un altro marito (ricordiamo, infatti, la poca libertà di cui godevano le donne all’epoca). Tuttavia, per tre volte, quando le nozze erano sempre più vicine, Cidippe era stata colta da una febbre misteriosa. Il padre, per risolvere la situazione, aveva deciso di consultare l’oracolo di Delfi. Venne a conoscenza della storia, decise allora di concedere la fanciulla in sposa ad Aconzio.
«[…] Dicono infatti che un giorno Era… fermati cane, cane
d’un cuore impudente, che canti ciò che è proibito!
Fortuna tua, che non vedesti i misteri della terribile dea
chè anche coloro avresti vomitato la storia!»
All’inizio del frammento II, con un gioco metaletterario, Callimaco fa riferimento ad un αἴτιον collegato ai riti nuziali del posto (posti sotto tutela di Era), per poi interrompersi, rivolgendosi a se stesso: si passa quindi dalla funzione narrativa al monologo interiore. Quest’aspetto è confermato ancora di più dal fatto che Callimaco usa un modulo tipico della poesia epica: l’eroe che, nel momento di crisi, parla con il proprio θυμός.
Lo θυμός è, dunque, l’energia che spinge ad agire per impulso immediato. E’ proprio lo θυμός che spinge l’uomo ad oltrepassare il limite tra ciò che è prudente e ciò che non lo è; per tale motivo, deve essere tenuto a bada, se si vuole avere una normale vita di relazione:
Odissea, Libro XI [v.562] Odisseo: «doma la tua irruenza e l’altero θυμός all’ombra di Aiace che si aggira corrucciata nelle case dell’Ade, nel tentativo di ammansirla.»
Tuttavia, lo θυμός può essere considerato come concetto astratto, ossia come conflitto psicologico:
Odissea, Libro IX [vv.299-302] Odisseo: «Io nel mio θυμός magnanimo pensai d’accostarmi e, tratta l’arguzza spada lungo la coscia, di colpirlo nel petto […] ma mi trattenne un altro θυμός.»
La chioma di Berenice: il passo più famoso degli Aitia di Callimaco
[vv.60-64] «[…]Perché per gli uomini… annoverata
tra le molte stelle, non solo… della sposa figlia di Minosse, ma anch’io vi fossi, bella
chioma di Berenice, Cipride mi pose, mentre salivo bagnata dalle acque verso gli
immortali, nuova stella tra le antiche.»
Infine, un altro episodio molto famoso degli Aitia di Callimaco riguarda le vicende di Berenice, moglie di Tolomeo Evergete. Questa aveva tagliato il ricciolo della sua chioma, offrendolo come dono votivo affinchè il marito tornasse salvo dalla spedizione militare.
Tuttavia, il ricciolo era scomparso dal santuario in cui era conservato. Per dare una risposta alla misteriosa scomparsa, l’astronomo di corte Conone aveva ipotizzato che tale ricciolo fosse diventato la nuova costellazione apparsa; per tale motivo venne chiamata “Chioma di Berenice” ancora oggi.
A quanto pare, un’opera fondamentale per fissare e catalogare i miti riguardanti le costellazioni era costituita dai Katasterismoi di Eratostene di Cirene, contemporaneo di Callimaco e come lui attivo presso la Biblioteca di Alessandria.
Era, dunque, sempre possibile scoprire nuove costellazioni in cielo, e questo poteva quindi costituire un’importante occasione di celebrazioni religiose o regali in età ellenistica. Il catasterismo è quanto di più simile alla divinizzazione ci sia per un mortale: diventare una stella significa passare da corpo mortale a sfera perfetta e pura, fissata per sempre nel cielo.
Anche in epoca romana il catasterismo accompagnò la divinizzazione di personaggi importanti: l’esempio più celebre è il fanciullo amato dall’imperatore Adriano, Antinoo, che, una volta morto, venne ritenuto scomparso sotto forma di stella nella costellazione dell’Aquila.
Gli astronomi di corte si affrettarono a confermare quest’idea, che collocava Antinoo, rapito dall’Aquila di Zeus al pari di Ganimede, nel cielo del mito, per cercare di consolare il desiderio dell’imperatore. Come scrive Marguerite Yourcenar, nelle Memorie di Adriano:
«La morte di Antinoo è un problema, oltreché una sciagura, per me solo. Può darsi che questa sciagura sia stata inseparabile da un eccesso di gioia, da un sovrappiù d’esperienza, di cui non avrei consentito a privarmi, né a privare il mio compagno di pericolo. I miei rimorsi, a poco a poco, sono divenuti anch’essi un aspetto amaro di possesso, un modo per assicurarmi d’esser stato sino alla fine lo sventurato padrone del suo destino. Ma non ignoro che bisogna fare i conti con le iniziative personali di quell’estraneo affascinante che resta, malgrado tutto, ogni essere amato.»
Curioso di vedere come sarebbe Antinoo nella vita reale? Guarda come è stato rappresentato in questa mostra!
Lorenzo Cardano