The Post, a lezione di libertà da Steven Spielberg

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La grandezza di un film si rivela quando meno te lo aspetti. E, in particolar modo, quando pochi se ne accorgono, senza far rumore.

Tra le tanti frasi, assiomi, paradigmi, veri e propri inni civili di The Post, c’è una frase particolare che in pochi hanno colto o sottolineato, che in realtà racchiude l’intera essenza non del film, ma del progetto dietro il film.

Ad un certo punto, dialogando col personaggio interpretato da Meryl Streep, il personaggio dell’ex ministro McNamara esclama: “la stampa non può essere oggettiva”. Non può esserlo perché commenta un qualcosa nel preciso momento in cui accade, e non c’è il distacco temporale, critico, emotivo per giudicare senza esserne coinvolti.

Ripetiamo ancora tutti in coro: “la stampa non può essere oggettiva”.

Trovo straordinario che una frase simile, che non è un’accusa, quanto una sincera presa di coscienza, sia presente proprio in un film che giustamente mitizza e doverosamente esalta il ruolo della stampa e della libertà di stampa in una democrazia funzionante.

Tale frase è una dichiarazione di intenti chiarissima di Steven Spielberg. Il suo film The Post non è oggettivo, non può esserlo coi tempi che corrono, non vuole esserlo. Sì, The Post è un film a tema, un film assolutamente schierato, un film che prende una posizione politica chiara e netta e non la molla dall’inizio alla fine. A prescindere dalle idee politiche di ciascuno – anche se, onestamente, ci vorrebbe un bel fegato per avere un’idea politica opposta alla libertà d’espressione e ai diritti delle donne – è proprio tale arroganza, paradossalmente, a far fare il salto di qualità alla pellicola.

Ovvero, The Post è un film sincero, deciso. Con le idee chiare su cosa dire e come dirlo, anche se questo significa, talvolta, metterlo in scena con la minor sottigliezza possibile immaginabile.

Spielberg schiera tutta la propria maestria cinematografica, tutta l’intensità recitativa di Meryl Streep e Tom Hanks all’interno di un riuscitissimo cast corale, per lanciare una potente invettiva contro Donald Trump. Pur mostrando un altro presidente, pur raccontando un altro decennio, quello è il bersaglio. Qui entra in gioco l’onestà intellettuale, la volontà di elevarsi e non abbassarsi al livello altrui. Il talento di un regista leggendario è pertanto quello di sfruttare la retorica senza renderla protagonista. Essere didattico senza risultare pedante. Tenere alto l’interesse pur tra tante e tantissime parole. Non essere melenso pur quando è il momento di alzare il sentimentalismo trionfante.

La chiave di volta sta tutta nel paradosso, in questo caso. Quello per cui The Post è un grande film proprio perché non è veramente un film. È un’operazione, un messaggio, uno slogan politico, anzi forse più che politico. È la prova che, quando c’è il talento e la volontà, anche le cose fatte a tavolino possono diventare sincere. Una lezione di cinema e una lezione di civiltà, non male come risultato finale.

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 Emanuele D’Aniello

Malato di cinema, divoratore di serie tv, aspirante critico cinematografico.

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